Quando cessa l’assegno di mantenimento al coniuge?

Come e quando chiedere la cancellazione dell’assegno di mantenimento e divorzile dopo la separazione o il divorzio.

L’assegno di mantenimento può durare una vita, ma può anche durare meno. Tutto dipende da alcuni fattori e variabili che solo il giudice può valutare. Quali sono queste ipotesi? Quando cessa l’assegno di mantenimento al coniuge? Cerchiamo di fare il punto della situazione.

Indice:

1 L’assegno di mantenimento cessa con il divorzio

2 L’assegno di mantenimento cessa per inattività

3 L’assegno di mantenimento cessa per modifica delle condizioni reddituali

4 Quando l’assegno di mantenimento è a vita?

5 Come far cessare l’assegno di mantenimento?

L’assegno di mantenimento cessa con il divorzio

La prima cosa da spiegare è la distinzione tra assegno di mantenimento e assegno di divorzio. Il primo scatta con il giudizio di separazione e dura fino al giudizio di divorzio. Il secondo, invece, viene definito con la sentenza di divorzio ed opera di lì in avanti.

Quindi, volendo essere fiscali, a chi chiede «quando cessa l’assegno di mantenimento al coniuge» si dovrebbe rispondere «con il divorzio». Ma solo perché, in quel momento, la misura del mantenimento viene sostituita dall’assegno divorzile.

Non è detto che l’ammontare dei due assegni sia uguale. L’assegno di mantenimento mira a garantire all’ex coniuge lo stesso tenore di vita. Al contrario, l’assegno di divorzio deve garantire solo l’autosufficienza economica, misura questa sganciata dal precedente tenore di vita e che, pertanto, potrebbe essere anche di gran lunga inferiore (si pensi a chi abbia sposato una persona particolarmente benestante).

Non è quindi improbabile che, con la cessazione dell’assegno di mantenimento e la percezione di quello di divorzio, si debbano abbassare il proprio tenore di vita e le aspettative di spesa.

Potrebbe anche succedere che il giudice, che precedentemente ha riconosciuto l’assegno di mantenimento con la separazione, rigetti la successiva domanda dell’assegno divorzile. Si pensi a una donna professionista che abbia maturato sufficiente esperienza e clientela da potersi mantenere da sola. O a quella che, pur avendo avuto più di un anno di tempo per trovare lavoro, non l’abbia fatto nonostante la giovane età.

Nulla toglie poi che siano le stesse parti – ossia gli ex coniugi – ad accordarsi in sede di divorzio per la cessazione del mantenimento, magari in cambio della cessione della proprietà di un bene.

L’assegno di mantenimento cessa per inattività.

Ci riferiremo di qui in avanti al solo assegno di divorzio, per quanto comunemente chiamato «mantenimento». Il giudice che ha accordato l’assegno divorzile potrebbe successivamente revocarlo qualora venga dimostrato in giudizio che il beneficiario, per quanto ancora abile al lavoro – per età, condizioni di salute e formazione – non abbia fatto niente per trovare un’occupazione. Difatti – come chiarito dalla Cassazione – il matrimonio non può essere considerato una rendita vitalizia; e siccome il divorzio recide definitivamente ogni legame tra i due ex coniugi, questi ultimi hanno il dovere di responsabilizzarsi e far di tutto per rendersi indipendenti. In buona sostanza, anche il coniuge privo di reddito o con un reddito basso deve tentare il tutto e per tutto di lavorare, sempre che l’età e le condizioni fisiche glielo consentano.

 

Il mantenimento va solo a chi lo merita e, a tal fine, bisogna dare dimostrazione di ciò, ossia di aver cercato un lavoro, di essersi iscritti alle liste per l’impiego, di aver partecipato a bandi e concorsi, di aver inviato il proprio curriculum.

L’assegno di mantenimento cessa per modifica delle condizioni reddituali.

Un altro tipico caso in cui il giudice può revocare l’assegno di mantenimento è quando mutino le condizioni di reddito di uno dei due coniugi rispetto al momento del divorzio. Si deve trattare innanzitutto di un fatto sopravvenuto rispetto alla precedente decisione del tribunale e non già sussistente in precedenza (e quindi già valutato dal giudice).

In secondo luogo, deve essere una modifica sostanziale, che alteri le condizioni patrimoniali di almeno uno dei due coniugi e, quindi, l’assetto patrimoniale realizzato con la sentenza che ha precedentemente stabilito l’assegno divorzile.

Si pensi al caso del coniuge obbligato a versare il mantenimento che venga licenziato o che, per una grave malattia, sia costretto a dimettersi e a sopportare delle forti spese sanitarie.

Oppure potrebbe essere il caso dell’ex moglie che, pur avendo ottenuto dal tribunale il riconoscimento dell’assegno mensile, riceva una cospicua eredità che ne modifichi le condizioni economiche.

Quando l’assegno di mantenimento è a vita?

A fronte di tali situazioni l’assegno di mantenimento dura in eterno, ossia fino alla morte del coniuge, ad esempio, quando:

il beneficiario ha rinunciato alla propria carriera e al lavoro per dedicarsi, d’accordo con l’altro coniuge, al ménage familiare, così contribuendo all’incremento della ricchezza dell’ex: a tale incremento ha diritto a partecipare appunto con il mantenimento “a vita”;

il beneficiario è in età avanzata tanto da non potersi più reimpiegare (si pensi a un divorzio con un pensionato e ad una donna che ha sempre svolto l’attività di casalinga o che ha un piccolo reddito appena sufficiente per sopravvivere);

il beneficiario è portatore di handicap e non può lavorare.

Come far cessare l’assegno di mantenimento?

Per far cessare l’assegno di mantenimento non si può agire “da soli”, ossia decidere il “se” e il “quando”: è sempre necessario un ricorso al giudice che modifichi il proprio precedente provvedimento e cancelli l’obbligo di pagamento di tale somma.

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