Si può controllare un lavoratore in smart working?

Il Garante per la privacy torna sul monitoraggio di chi svolge la propria attività a distanza: quando è lecito e come deve essere fatto.

Vantaggi e svantaggi di lavorare da casa: da una parte manca il contatto umano, il confronto deve essere sempre telefonico, via e-mail o su WhatsApp, le giornate sembrano eterne, chiusi da soli in una stanza per ore. Dall’altra, il tragitto casa-lavoro è quello che separa la camera da letto dalla sala o dallo studio, per chi è più fortunato. La mensa è la cucina di casa e la pausa serve anche per pagare una bolletta in posta, sistemare una pratica in banca o fare un salto al supermercato a prendere due cose che mancano. Nel contesto casalingo di lavoro, però, è facile distrarsi da mille cose e non rendere come quando si è fisicamente in ufficio. Ecco perché, dipendente e imprenditore, ciascuno per la parte che gli interessa, si pongono la stessa domanda: si può controllare un lavoratore in smart working?

L’argomento è tutt’altro che banale perché si parla di eventuali strumenti adottati a distanza per sapere se il lavoratore sta effettivamente svolgendo il compito per cui è pagato oppure dedica una parte dell’orario ai fatti suoi e l’altra a fare in fretta e furia quello che gli è stato chiesto. Ma un datore di lavoro può entrare nel pc o nello smartphone del dipendente per sapere che cosa sta facendo? Si può controllare un lavoratore in smart working fino a quel punto?

Quando il lavoro agile ha registrato una forte spinta a causa della pandemia da Covid, è stato sottoscritto un accordo tra l’Ispettorato nazionale del lavoro ed il Garante per la protezione dei dati personali nel tentativo di far convivere nel modo migliore la tutela della privacy del lavoratore e gli interessi del suo datore. Un protocollo che non sempre è stato rispettato. Tant’è che il Garante è dovuto tornare sull’argomento con un’ordinanza in cui dichiara illegittimi alcuni atteggiamenti dell’azienda in materia di controllo del lavoratore in smart working.

Controllo a distanza: l’accordo Ispettorato-Garante

Come accennato, l’Ispettorato nazionale del lavoro ed il Garante per la privacy hanno siglato un accordo [1] che tiene conto di due aspetti importanti. Da un lato, le competenze dell’Ispettorato nel rilascio delle autorizzazioni per l’installazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti da cui derivi la possibilità di controllare a distanza un lavoratore. Dall’altro, il dovere del Garante di evitare eventuali abusi e discriminazioni da parte del datore verso il dipendente in smart working.

Particolare attenzione viene posta sul ricorso ad applicazioni, anche su dispositivi indossabili o smartphone, che mettono ad evidente rischio la privacy dei lavoratori.

Il protocollo, della durata di due anni, richiama la normativa in vigore [2] secondo cui i sistemi di controllo a distanza possono essere utilizzati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale. Mentre qualsiasi forma di verifica sull’attività del lavoratore dovrà essere fatta solo previo accordo sindacale o con un’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.

L’accordo Ispettorato-Garante stabilisce anche delle sanzioni per i datori che abusano degli strumenti di controllo a distanza dei lavoratori o che li utilizza in modo illecito. In particolare, se il fatto non costituisce più grave reato, è prevista un’ammenda da 154 a 1.549 euro o l’arresto da 15 giorni a un anno. Per i casi più gravi, le pene dell’arresto e dell’ammenda vengono applicate insieme.

Non solo: se il trattamento dei dati da parte dell’azienda non fosse corretto, il datore potrebbe essere condannato al risarcimento dell’eventuale danno creato al lavoratore.

Controllo a distanza dell’attività del lavoratore sul web

Uno dei pensieri che possono essere più ricorrenti nella mente del datore di lavoro è quello di sapere che cosa starà facendo al computer o con il telefonino il suo dipendente: sarà, davvero, collegato al sito o ai siti pertinenti che hanno a che fare con la sua attività? Oppure si starà guardando dei video su YouTube o starà chattando sui social? Per togliersi il dubbio, si può controllare un lavoratore in smart working «entrando» nei suoi dispositivi e scoprendo la cronologia delle navigazioni?

Ci ha provato, per esempio, il Comune di Bolzano, il quale, recentemente, si è preso una sonora «strigliata» da parte del Garante per la privacy [3]. Contro l’amministrazione locale altoatesina aveva agito una dipendente che aveva scoperto di essere stata controllata su quello che faceva in Rete e sui suoi singoli accessi a Internet, in particolare a Facebook e a YouTube.

Di fronte a casi come questi, ed in base all’ordinanza in proposito firmata dal Garante, quando un’attività di controllo a distanza del lavoratore può essere ritenuta illecita e, quindi, contestabile fino alla possibilità di chiedere il risarcimento di un eventuale danno?

Non è consentito, secondo il Garante, tenere sotto controllo l’attività sul web del lavoratore senza la dovuta informativa sulla tipologia del trattamento dei suoi dati.

Non è lecito nemmeno tracciare gli accessi ad Internet di un dipendente perché, così facendo, possono essere acquisiti, anche in via involontaria, dei dati che riguardano la sfera extra lavorativa del dipendente.

L’Autorità sottolinea anche il rischio di violare il divieto di trattamento dei dati che non hanno a che fare con la valutazione delle capacità professionali del dipendente. Per concludere, il Garante rileva il pericolo di non valutare – come sarebbe indispensabile fare – se i trattamenti dei dati possano mettere a repentaglio i diritti e le libertà delle persone fisiche.

In conclusione, il Garante per la privacy sancisce che per controllare un lavoratore in smart working non bastano l’accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato, ma viene richiesta un’informativa «adeguata, specifica e trasparente» sulla modalità di utilizzo degli strumenti informatici e sulla finalità e la modalità del monitoraggio stesso. Nello specifico, il datore deve segnalare quali strumenti utilizzerà per il controllo, le loro caratteristiche, il funzionamento, le modalità e le regole di utilizzo e l’oggetto e la frequenza dei controlli. Il tutto previa valutazione del rispetto dei diritti e delle libertà del lavoratore.

Note:

[1] Accordo INL-GDPD del 22.04.2021.

[2] D.lgs. n. 151/2015.

[3] Garante privacy provv. n. 190/2021.

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