La definizione di invalido civile: tra dottrina e giurisprudenza.

  1. Cosa si intende per invalido civile.

L’art.2, 2° comma, della L. 30 marzo 1971 n.118 definisce invalidi civili[1] tutti “i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”. L’articolo in esame, dunque, fa rientrare nel concetto di invalido civile anche coloro che sono affetti da minorazioni esclusivamente psichiche, vale a dire da “insufficienza mentale collegata ad insufficienze sensoriali o funzionali come accade per la schizofrenia”[2]. Si è, pertanto, affermato che, a differenza della dizione usata nell’art.5 della L. 625/1966[3] che escludeva il malato psichico puro dalla categoria degli aventi diritto, l’art.2 della L. 118/1971 ha dilatato la categoria degli invalidi civili ha tutti i cittadini affetti da una minorazione psichica pura, dal momento che “rientra tra le minorazioni congenite o acquisite” (dizione di carattere generale, seguita da esemplificazione cui non può attribuirsi carattere limitativo)[4] previste appunto dalla citata legge del 1971. Il suddetto orientamento è stato successivamente ampliato dalla giurisprudenza maggioritaria sia di merito[5] che di legittimità[6], la quale ha stabilito che gli invalidi per cause di malattie psichiche, di qualsiasi natura, sono considerati invalidi civili e, quindi, godono di tutti i benefici previsti dalla L. 118/1971. Tutto ciò può essere interpretato come espressione della volontà di migliorare e soddisfare il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale, disciplinato dall’art.38 Cost. a “ogni cittadino inabile al lavoro, qualunque sia la causa di tale invalidità”. A tal proposito, va precisato che tale questione, cioè il riconoscimento delle minorazioni psichiche di qualunque natura, ha trovato finalmente una soluzione sia con il D.M. 25 luglio 1980[7] che ha approvato la tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le malattie invalidanti, nelle quali sono state inserite, senza nessun limite, le minorazioni psichiche e sia con l’art.1 del D. Lgs. 509/1988, il quale dispone che “le minorazioni congenite od acquisite, di cui all’art.2, 2° comma, della L. 30 marzo 1971 n.118, comprendono … le infermità fisiche e/o psichiche e sensoriali che comportano un danno funzionale permanente”.

Inoltre, nella nozione di invalido civile devono essere inseriti anche “gli ultrasessantacinquenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”[8].

Infine, sono esclusi gli invalidi per cause di guerra, di lavoro, di servizio, i ciechi e i sordomuti, per i quali provvedono altre leggi[9]. Ciò sta a significare che non sussistono le condizioni per essere dichiarato invalido civile, se un soggetto ha avuto il riconoscimento dello status di invalido di guerra, di lavoro o di servizio. Però, se ha una delle suddette minorazione e non ha il citato riconoscimento, può chiedere quello di invalido civile.

Da questa breve analisi dell’art.2 della L. 118/1971, possiamo sintetizzare che sono considerati invalidi civili:

i cittadini che sono affetti da minorazioni

– congenite o acquisite,

– fisiche e/o psichiche e sensoriali che comportano un danno funzionale permanente;

per i minori di diciotto anni e i soggetti ultrassessantacinquenni è necessario che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.

  1. Rassegna giurisprudenziale.

Pretura Roma, 9 settembre 1978 – Zucconi Mazzini c./ Min. Interno.

Schizofrenia – Assegno mensile – Pensione di invalidità.

L’infermità psichica schizofrenia deve intendersi compresa fra le infermità previste dall’art.2 della L. 30 marzo 1971 n.118 ai fini del diritto alle prestazioni (assegno mensile o pensione) per i mutilati e invalidi civili, rientrando nella formula “insufficienze mentali da difetti sensoriali o funzionali” usata dal legislatore (Riv. Giur. Lav., 1978, III, p.518).

Cassazione civile, sez. lav., 21 ottobre 1980 n.5673 – Min. Interno c./ Fantini

Minorati psichici – Menomazioni congenite o acquisite.

I minorati psichici rientrano nell’ampia categoria degli affetti da menomazioni congenite o acquisite di cui all’art. 2 della L. 30 marzo 1971 n.118, recante nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili (Foro It., 1981, I, p.114).

Cassazione civile, sez. lav., 30 ottobre 1981 n. 5729 – Min. Interno c./ Caselli

Invalidi per cause di natura esclusivamente psichica – Pensione di inabilità.

Le insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali di cui è menzione nell’art.2 della L. 30 marzo 1971 n.118 come cause di inabilità, ai fini dell’erogazione della relativa pensione, comprendono anche i casi di minorazione psichica pura e non solamente quelli di origine organica o derivanti da neurolesione (Giust. Civ., Mass., 1981, fasc. 10).

Pretura Trani 19 dicembre 1988 – Strignano c./ Min. Interno

Esclusione degli invalidi civili – Assegno di invalidità.

Ai sensi del 3 comma, dell’art.2 della L n.118 del 1971 sono esclusi dal diritto alle provvidenze per gli invalidi civili coloro che siano invalidi per causa di guerra, di lavoro, di servizio, nonché i ciechi ed i sordomuti per i quali provvedono altre leggi; pertanto, non compete l’assegno di invalidità al minorato parziale che sia titolare di una rendita INAIL, qualunque sia la percentuale di inabilità al lavoro riconosciuta dall’ente assicuratore, ed ancorché quest’ultima sia inferiore a quella del 33,33% di cui all’art.4 della L. n.482 del 1968 (Foro It., 1990, I, p.3050).

Cassazione Civile, 24 settembre 1988 n.5224 – Min. Interno c./ Notari

Sordomuto – Invalidi civili – Indennità di accompagnamento.

Il sordomuto minore di diciotto anni ha diritto all’indennità di accompagnamento di cui alla L. 11 febbraio 1980 n.18 quando, per il concorso di altra infermità o indipendentemente da essa, sussistano le condizioni stabilite per essere dichiarato invalido civile ed al tempo stesso sia impossibilitato a compiere gli atti quotidiani di vita senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, atteso che l’esclusione dei sordomuti dalle categorie destinatarie della disciplina della invalidità civile, quale posta dall’art.2, 3 comma, della L. 30 marzo 1971 n.118, riguarda soltanto i soggetti i quali godano di altre specifiche provvidenze e pertanto si riferisce unicamente ai sordomuti ultradiciottenni per i quali vige la disciplina speciale posta dalla L. 26 maggio 1970 n.381 (Giust. Civ., 1989, I, p.65).

Tribunale Firenze, 5 gennaio 1992 – Pellegrini c./ Min. Interno

Ultrasessancinquenni e invalidi civili – Indennità di accompagnamento.

L’art.2, 3 comma, della L. 30 marzo 1971 n.118, comma aggiunto dell’art.6 del D. Lgs. 23 novembre 1988 n.509, statuisce che i soggetti ultrasessantacinquenni hanno diritto a godere della indennità di accompagnamento qualora manifestino una “difficoltà persistente a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”; il legislatore, pertanto, ha attenuato per tale categoria di cittadini,

in considerazione dell’età, il più rigoroso requisito previsto dall’art.1 della L. n.18/1980 per la concessione del beneficio “impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita” (Toscana Lav. Giur., 1992, p.250).

Cassazione Civile, sez. lav., 3 febbraio 1999 n.931 – Min. Interno c./ Cavoto

Ultrasessantacinquenni – indennità di accompagnamento – Requisiti

Le condizioni previste dall’art.1 della L. n.18 del 1980 per l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento consistono, alternativamente, nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza; ai fini della valutazione di dette situazioni non rilevano episodici contesti, ma è richiesta una verifica della loro inerenza costante al soggetto e non in rapporto ad una soltanto delle possibili esplicazioni del vivere quotidiano, quali per esempio il portarsi fuori dalla propria abitazione, ovvero la necessità di assistenza determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana. Tali requisiti sono richiesti anche per gli ultrasessantacinquenni, poiché l’art.6 del D. Lgs. n.509 del 1988, lungi dal configurare un’autonoma ipotesi di attribuzione dell’indennità, pone solo le condizioni perché detti soggetti siano considerati mutilati o invalidi, in analogia a quanto già disposto per i minori di diciotto anni dall’art.2, comma 2, della L. n.118 del 1971 nel testo originario (Mass., 1999).

Cassazione civile, sez. lav., 22 marzo 2001 n.4172 – Min. Interno c./ Croci

Ultrasessantacinquenni – Rilevanza ai fini del disconoscimento dell’indennità – Indennità di accompagnamento.

Le condizioni per l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento agli assistiti utrasessantacinquenni consistono, alternativamente, nell’impossibilità di deambulare, oppure (secondo l’art. 2 della L. n.118 del 1971, introdotto dall’art.6 del D. Lgs. 509/1988) nelle difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’ età, senza che la considerazione di detti compiti e funzioni possa condurre ad una valutazione per fasce d’età, con la conseguenza di escludere l’indennità quando il soggetto abbia raggiunto una fascia di età avanzata o di decrepitezza tale che funzioni e compiti vengano meno quasi del tutto, giacché anche le persistenti difficoltà a compiere le residue funzioni (per quanto ridotte esse siano) legittima il riconoscimento della suddetta indennità (Mass., 2001).

Cassazione Civile, sez. lav., 3 aprile 2001 n.4904 – Min. Interno c./ Quaglia

Indennità di accompagnamento – Requisiti per gli ultrasessantacinquenni – Persistente difficoltà di deambulazione o di compimento degli atti quotidiani della vita.

L’art.6 del D. Lgs. 23 novembre 1988 n.509, nel modificare l’art.2 della L. n.118 del 1971 con l’aggiunta di un terzo comma e nel prevedere che, ai fini dell’indennità di accompagnamento, si considerano mutilati e invalidi gli ultrasessantacinquenni che abbiano “difficoltà persistenti” a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età, consente a tali soggetti di essere annoverati fra gli aventi diritto all’indennità di accompagnamento alla sola condizione che abbiano non già l’impossibilità ma soltanto la persistente difficoltà di deambulare autonomamente senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o la persistente difficoltà di compiere autonomamente gli atti quotidiani della vita; né per gli stessi soggetti è richiesto il presupposto della totale inabilità, essendo inutile richiedere la totale inabilità al lavoro a soggetti che, per l’avvenuto raggiungimento dell’età pensionabile, non hanno necessità di espletare un’attività lavorativa (Mass., 2001).

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