Che succede se un padre non lascia niente a un figlio dopo aver venduto la casa e gli altri beni al fratello di quest’ultimo?

Un nostro lettore ci chiede se un genitore può vendere tutto in vita ad un figlio e lasciare l’altro senza niente. Cosa può fare quest’ultimo? Il caso è il seguente: il padre, prima di morire, vende la nuda proprietà al figlio primogenito riservandosi l’usufrutto sull’immobile. Quindi, i due si recano dal notaio e stipulano l’atto pubblico. Il figlio paga il prezzo per come riportato nel rogito tramite assegno bancario (o almeno così risulta dall’atto di compravendita). La figlia scopre della vendita solo qualche anno dopo. Cosa succede in questi casi? Cerchiamo di fare il punto della situazione.

Prima ancora però di spiegare se un genitore può vendere tutto in vita a un figlio soltanto bisogna fare una breve premessa in merito ai doveri che ogni padre ed ogni madre hanno

La legge dice che ciascun genitore, seppur libero di fare testamento e di distribuire i propri beni per come preferisce, non può intaccare la quota di legittima spettante ai familiari più stretti, ossia ai cosiddetti “legittimari”. I legittimari sono il coniuge e i figli (o, in assenza dei figli, i genitori). Questo significa che il testatore (cioè colui che fa testamento) non può né effettuare disposizioni testamentarie che privino uno o più legittimari di tale quota, né eseguire in vita atti di donazione che possano avere lo stesso effetto di svuotamento del proprio patrimonio.

Il problema chiaramente non si pone in assenza di testamento visto che, in questi casi, il patrimonio viene diviso secondo le regole di legge e, quindi, non si verificano ipotesi di discriminazione.

Il punto è che la vendita non determina un effettivo svuotamento del patrimonio del testatore in quanto la proprietà del bene viene sostituita con la proprietà di una somma di denaro. Ed è quest’ultima quindi – in sostituzione dell’abitazione – che passa agli eredi legittimari. Dunque, a ben vedere – almeno in linea teorica – i beni del defunto non vengono limitati dalla vendita. Ma spesso non è così. E ciò per due ordini di ragioni.

La prima è costituita dal fatto che non sempre il denaro derivante dalla vendita viene conservato o speso in altre forme di investimento a vantaggio degli eredi. Potrebbe ben succedere, ad esempio, che il padre spenda il denaro in viaggi, giochi, scommesse, casino e altri beni voluttuari. In questo caso, purtroppo, non c’è per gli eredi alcuna possibilità di tutela. Nessuno, infatti, finché è in vita il familiare, può essere limitato nella sua libertà di spendere, per come vuole, i propri soldi o di vendere i beni di cui è titolare. Dunque, se mai il padre dovesse far “sparire” i soldi ricevuti dalla vendita dell’unico bene di proprietà fatta ad un solo figlio, l’altro non avrebbe modo di rivalersi sul fratello.

Il secondo problema è costituito dall’eventuale sussistenza di una simulazione. Non poche volte succede infatti che, dietro la vendita, si nasconda una donazione. Ciò succede, ad esempio, quando il prezzo di vendita è nettamente inferiore a quello di mercato o quando non vi è un effettivo passaggio di denaro tra il venditore e l’acquirente. La circostanza che, nell’atto di compravendita, sia indicato l’avvenuto pagamento del prezzo, non è un fatto che ricopre piena prova se non avviene dinanzi al notaio. Il notaio infatti può attestare solo l’identità delle parti e le dichiarazioni da queste effettuate in sua presenza ma non la veridicità delle stesse. Ne abbiamo già parlato in “Simulazione vendita immobile: come si scopre“.

Questo significa che è ben possibile dimostrare che lo scambio del prezzo non è mai avvenuto o che lo stesso è stato poi restituito al venditore per altra via.

Quindi, il figlio che ha le prove della finta vendita al fratello potrebbe agire dinanzi al giudice del tribunale civile, solo all’atto della morte del padre, per far dichiarare la simulazione della vendita stessa e ottenere così la propria parte di legittima.

C’è poi un’ultima ipotesi in cui è possibile impugnare la vendita della nuda proprietà con riserva di usufrutto e ciò succede quando, a fronte del trasferimento, il beneficiario si impegna a prestare all’usufruttuario assistenza fino alla sua morte. Tale contratto viene ritenuto impugnabile sia quando compiuto in fin di vita dal proprietario (difatti, la controprestazione dell’assistenza sarebbe irrisoria rispetto al valore del bene), sia quando l’assistenza all’anziano non c’è stata (si tratterebbe allora di far valere l’inadempimento alla prestazione dovuta contrattualmente).

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