Suprema Corte di Cassazione, il matrimonio dei separati in casa non può essere annullato.

La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che, per lo stato civile, non è possibile riconoscere l’annullamento di un matrimonio sancito da un tribunale ecclesiastico, invocando il fatto di essere “separati in casa”.

Gli Ermellini hanno respinto il ricorso di un uomo, secondo il quale le sue nozze sarebbero dovute essere dichiarate nulle anche dall’ordinamento italiano, perché il suo doveva essere considerato un caso tra quelli nei quali la reale convivenza era stata limitata ad un  lasso di tempo inferiore a tre anni (periodo per il quale l’attuale giurisprudenza ritiene legittimo il via libera del riconoscimento dell’annullamento del matrimonio), in relazione alla circostanza che la “separazione in casa “ era iniziata alcuni mesi dopo le nozze.

La sesta sezione civile della Suprema Corte ha dichiarato “infondato” il ricorso dell’uomo, sostenendo che:

“Appare irrilevante accertare se l’unione tra i coniugi nel periodo di convivenza ultratriennale sia stata più o meno felice ovvero se vi sia stata una parziale o integrale non adesione affettiva da parte dei coniugi al dato fattuale della convivenza.

Tale mancanza di adesione affettiva può acquistare rilevanza giuridica se viene concordemente riconosciuta e manifestata all’esterno in modo da privare alla convivenza ogni valenza riconducibile all’estrinsecazione del rapporto coniugale”.

Nel caso in questione, l’uomo ha affermato di avere intrattenuto una relazione extraconiugale un anno dopo il matrimonio.

Il requisito della mancanza di “affectio coniugalis”, non è stato provato dal ricorrente e l’ex moglie lo ha contestato.

La Corte ha concluso sostenendo che:

“Le deduzioni dell’uomo potrebbero al più attestare una sua non adesione affettiva al matrimonio dopo pochi mesi dalla sua celebrazione ma tale attitudine psicologica non ha impedito ai due coniugi di vivere insieme per oltre 3 anni dando continuità alla convivenza che avevano intrapreso in quanto coniugi”.

Sulla scia di questo spunto approfondiamo l’argomento delle “separazioni casalinghe” .

I “perché” dei separati in casa

Al di là delle statistiche si può affermare che il numero dei fallimenti matrimoniali è sempre più elevato.

In presenza di simili circostanze, può accadere che i coniugi si separino per motivi economici o logistici.

A volte per il bene dei figli decidono di coabitare nello stesso luogo, da separati in casa, con separate necessità, consumando pasti separatamente e dormendo in camere diverse, non ponendo in essere particolarità formalità.

I “quando” dei separati in casa

Le più frequenti “separazioni in casa” vengono poste in essere quando i due ex coniugi sono separati di fatto.

La separazione di fatto è diversa dalla separazione legale, consensuale o giudiziale.

In questo caso, è il giudice che stabilisce le condizioni della separazione stessa, mentre la separazione di fatto si verifica quando uno dei coniugi lasca il tetto coniugale in modo spontaneo, accordandosi con l’altro, di solito economicamente più debole, in relazione a un eventuale pagamento di alimenti.

Questa forma di separazione non costituisce un valido presupposto per fare iniziare a decorrere il termine di tre anni per ottenere il divorzio, e non produce nessun effetto giuridico, perché non è disciplinata dal codice civile.

I “come” dei separati in casa

Al fine di porre in essere una “separazione in casa”, a differenza del passato, basta versare 16 euro nelle casse del Comune, rivolgendosi all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di residenza, di entrambe le parti, di almeno una delle parti o in alternativa del luogo nel quale è stato celebrato o trascritto il matrimonio, a patto che non ci siano figli minori, non ci siano figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap gravi, non ci siano figli maggiorenni non economicamente autosufficienti.

In questo modo non si potrà realizzare nessun patto di trasferimento patrimoniale.

Ad esempio, dell’abitazione coniugale, del conto corrente cointestato, dell’auto o altro.

Il Sindaco o un suo delegato, quando riceve le dichiarazioni dei coniugi, e non prima di trenta giorni dalla ricezione, gli invita a comparire davanti a lui per la conferma definitiva, che, previa la dovuta annotazione nell’atto di matrimonio, produrrà gli stessi effetti dei provvedimenti giudiziali, che decorreranno dalla data della prima sottoscrizione.

Se le parti, nel giorno stabilito, non compaiono davanti al Primo Cittadino l’accordo perderà efficacia e la procedura dovrà essere instaurata un’altra volta.

Le conseguenze legali dei “separati in casa”

Abitare da “separati in casa” per i coniugi non è una scelta priva di rischi legali.

La separazione in casa non impedisce di ottenere una sentenza di divorzio, perché tra i coniugi che abitano insieme da separati non c’è più la comunione legale e spirituale che contraddistingue il vincolo matrimoniale, comportandosi gli stessi come due estranei.

Non devono essere sottovalutati gli inconvenienti che si potrebbero verificare se uno dei due coniugi, intenzionato, per diversi motivi, a opporsi alla pronuncia del divorzio, dovesse eccepire un’effettiva riconciliazione, in relazione alla condivisione quotidiana dello stesso immobile.

Se accadesse, sarebbe necessario dimostrare che la scelta di coabitare non rappresenta una ripresa della convivenza dettata da motivi di affetto, ma esclusivamente da esigenze di opportunità.

Una simile condizione comporta una serie di inconvenienti, non sempre di facile soluzione, che non sono relativi in modo esclusivo agli aspetti più pratici, legati ad esempio, alle modalità di ripartizione delle comuni spese domestiche di luce, gas, alimentari, ma anche a dei disagi che si  potrebbero verificare dal lato burocratico.

A esempio:

Tizia, madre separata, chiede l’assegno di maternità al Comune di appartenenza.

Ai redditi di Tizia dovranno essere sommati quelli dell’ex coniuge Caio che risiede nella stessa casa.

Il rischio è che la domanda di Tizia venga respinta perché si superano i valori di reddito richiesti per il beneficio.

I diritti e i doveri dei coniugi “separati in casa”

I coniugi che abitano sotto lo stesso tetto, anche se da separati, restano vincolati ai diritti e obblighi che derivano dal matrimonio, vale a dire, fedeltà, coabitazione, collaborazione e contribuzione ai bisogni della famiglia, e in modo specifico, a quelli di assistenza morale e materiale del coniuge dei figli.

I passi da compiere successivi alla separazione in casa.

I coniugi che abitano sotto lo stesso tetto, anche se da separati, in qualunque momento possono decidere di rivolgersi al tribunale nel tentativo di salvaguardare l’unità familiare, chiedendo, se siano in disaccordo, senza formalità, il supporto di un giudice nel tentativo, anche con un percorso di mediazione familiare, di raggiungere una soluzione concordata.

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