Se l’avvocato non fa appello deve risarcire i danni?

Avvocato dimentica di fare appello: causa contro avvocato per negligenza e risarcimento danni.

Una recente sentenza della Cassazione [1] risponde a una domanda piuttosto frequente: se l’avvocato non fa appello deve risarcire i danni?

L’ipotesi è abbastanza ricorrente. Il cliente dà incarico al proprio avvocato di difenderlo in un giudizio, ma la causa termina con una sonora sconfitta. Il cliente viene informato telefonicamente dell’esito negativo della causa e, in quella stessa occasione, chiede al proprio difensore di preparare l’appello. Il professionista però non prende la richiesta seriamente e dimentica il fascicolo sulla scrivania. Scade così il termine di 30 giorni per notificare l’atto di impugnazione. Cosa succede in questi casi? Può l’assistito esigere il risarcimento del danno per la dimenticanza di cui si è macchiato il legale?

Anche se la risposta potrebbe sembrare scontata ed apparire normale che un professionista negligente debba risarcire il cliente delle conseguenze negative da questi patite a causa del proprio operato, le cose non stanno così. Cerchiamo allora di fare il punto della situazione e perché la Corte ha detto che, se l’avvocato non fa appello non è detto che debba risarcire i danni.

Incarico di fare l’appello verbale: che succede?

L’avvocato che non presenta l’appello, nonostante l’incarico ricevuto dal cliente, è sicuramente responsabile. Questo perché il mandato che l’assistito gli conferisce, anche se verbale, lo vincola subito a predisporre ogni azione necessaria alla sua tutela.

Non bisogna confondere il mandato con la procura apposta sull’atto processuale e firmata dal cliente. La procura è necessariamente scritta e serve per dare il potere all’avvocato di rappresentare, in udienza, il proprio assistito, facendo sì che gli effetti della sentenza si traslino direttamente su quest’ultimo. Il mandato invece è il contratto, anche orale, che viene stipulato a monte tra cliente e professionista, prima ancora della procura, e che serve a conferire l’incarico di assistenza legale.

Quindi, il cliente può dare verbalmente mandato al proprio difensore di preparare l’appello, così vincolandolo a svolgere tale attività se d’accordo.

L’avvocato non può quindi giustificarsi sostenendo che il cliente non ha firmato la procura: deve essere lui a convocarlo in tempo utile per apporre la sottoscrizione e poi notificare nei termini l’atto di appello. Se non lo fa è responsabile.

L’avvocato che dimentica di fare l’appello è responsabile?

L’avvocato, che avendo ricevuto verbalmente l’incarico dal proprio cliente di fare appello, non provvede a redigere l’atto e fa scadere i termini è responsabile. Egli infatti è inadempiente al contratto di mandato. Ma attenzione: il fatto di essere responsabile non dà automaticamente il diritto all’assistito a chiedere il risarcimento del danno. A riguardo, sarà bene fare un’importante precisazione.

Nel nostro ordinamento, anche in presenza di un comportamento illecito, il diritto al risarcimento non è scontato. Il risarcimento spetta solo se viene dimostrato un danno concreto e attuale. Danno che deve dimostrare chi appunto richiede tale indennizzo.

Ebbene, nel caso dell’avvocato che dimentica di fare appello, il danno consiste nella possibilità, per il cliente, di ottenere una riforma della sentenza a lui più favorevole: ossia l’eliminazione (totale o parziale) degli effetti negativi della condanna di primo grado.

 

Ne deriva che, se il cliente che assume di essere stato danneggiato dall’inerzia del legale non prova che l’appello sarebbe stato accolto – o comunque che vi sarebbero stati ampi margini per sperare in tale risultato – allora questi non può chiedere il risarcimento. Resta comunque la possibilità di una responsabilità deontologica dell’avvocato, da far valere con una denuncia all’Ordine degli Avvocati, ma ciò non implicherà alcun vantaggio economico per l’assistito.

Il semplice fatto che l’appello avrebbe allungato i tempi per ottemperare alla condanna contenuta nella sentenza sfavorevole di primo grado non è sufficiente a rivendicare i danni. È necessario dimostrare che tale sentenza sarebbe stata modificata.

Quindi, laddove la causa era “persa” in partenza e non v’erano speranze di cambiare le sorti in appello non è dovuto risarcimento. Anche la semplice «possibilità» di un esito positivo in secondo grado non è sufficiente: è necessaria la «probabilità».

Note:

[1] Cass. ord. n. 15032/21 del 28.05.2021.

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