Giornalismo d’inchiesta: ultime sentenze.

Diffamazione a mezzo stampa e diritto di critica: quando il giornalista rischia la querela penale.

Indice:

1 Giornalismo d’inchiesta: è necessario valutare la veridicità della notizia 

2 Condizioni di liceità del giornalismo d’inchiesta

3 Non può essere riconosciuta rispetto ai reati strumentali all’acquisizione della notizia la scriminante del diritto di cronaca

4 Giornalismo d’inchiesta: non è necessaria la verità oggettiva

5 Quando l’inchiesta giornalistica integra legittimo la manifestazione del pensiero

6 Giornalismo d’inchiesta e uso di telecamera nascosta

7 Giornalismo d’inchiesta e tutela costituzionale della manifestazione del pensiero

8 Diffamazione col mezzo della stampa.

Giornalismo d’inchiesta: è necessario valutare la veridicità della notizia

Al cosiddetto “giornalismo d’inchiesta“, quale species più rilevante della attività di informazione, connotata (come riconosciuto anche dalla Corte di Strasburgo) dalla ricerca ed acquisizione autonoma, diretta ed attiva, della notizia da parte del professionista, va riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare, in relazione ai limiti regolatori dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa, e comunque diversa, applicazione della condizione di attendibilità della fonte della notizia; venendo meno, in tal caso, l’esigenza di valutare la veridicità della provenienza della notizia, che non è mediata dalla ricezione “passiva” di informazioni esterne, ma ricercata, appunto, direttamente dal giornalista, il quale, nell’attingerla, deve ispirarsi ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali, tra l’altro, menzionati nella l. n. 69 del 1963 e nella Carta dei doveri del giornalista.

(In applicazione del suddetto principio la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto

diffamatorio il contenuto di un libro dedicato a far luce, anche attraverso brani di conversazioni telefoniche, su vicende remote e recenti della storia della Repubblica, valorizzandone il carattere “allusivo” in applicazione del solo parametro valutativo della veridicità della notizia, ma omettendo di tenere conto dell’osservanza, da parte del giornalista, dei doveri deontologici di lealtà e buona fede, nonché del canone della maggiore accuratezza possibile nella ricerca delle fonti e nella valutazione della loro attendibilità).

Cassazione civile sez. III, 16/02/2021, n.4036

Condizioni di liceità del giornalismo d’inchiesta

Nel giornalismo di inchiesta l’acquisizione della notizia avviene autonomamente, direttamente ed attivamente da parte del professionista e non è mediata da fonti esterne mediante la ricezione di informazioni. Poste queste caratteristiche, al giornalismo di inchiesta, quale species, deve essere riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare una meno rigorosa e diversa applicazione dell’attendibilità della fonte. È infatti evidente che nel giornalismo di inchiesta, viene meno l’esigenza di valutare l’attendibilità e la veridicità della provenienza della notizia, dovendosi ispirare il giornalista, nell’attingere direttamente l’informazione, principalmente ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale.

Ne consegue che detta modalità di fare informazione non comporta violazione dell’onore e del prestigio di soggetti giuridici, con relativo discredito sociale, qualora ricorrano: l’oggettivo interesse a rendere consapevole l’opinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti; l’uso di un linguaggio non offensivo e la non violazione di correttezza professionale.

Tribunale Roma, 17/08/2020, n.11574

Non può essere riconosciuta rispetto ai reati strumentali all’acquisizione della notizia la scriminante del diritto di cronaca

La scriminante del diritto di cronaca, anche nel c.d. giornalismo di inchiesta, trova applicazione con riferimento alla condotta tipica di diffamazione in quanto quest’ultima costituisce espressione diretta dell’esercizio del diritto di cronaca; viceversa, la scriminante non può configurarsi con riguardo a reati strumentali, prodromici e funzionali all’acquisizione della notizia, rispetto ai quali il diritto d’informazione rileva soltanto in via mediata e non può essere oggetto di bilanciamento diretto con i beni tutelati dalle rispettive fattispecie.

(Nella specie, all’imputato, giornalista, era stato contestato il delitto di sostituzione di persona per aver indotto in errore sulla sua identità la responsabile di una comunità di alloggio, fingendosi parente di una donna ivi ricoverata al fine di poter realizzare un servizio giornalistico all’interno della struttura).

Cassazione penale sez. V, 21/06/2019, n.43569

Giornalismo d’inchiesta: non è necessaria la verità oggettiva

In materia di giornalismo d’inchiesta l’indagine circa la verità è condotta con modalità meno rigorose: non è infatti necessaria la verità oggettiva, ma è invece sufficiente quella meramente putativa, a condizione però che sia stato svolto un serio e diligente lavoro di ricerca sulle fonti e sulla loro attendibilità.

Tribunale Roma sez. I, 17/01/2019, n.1222

Quando l’inchiesta giornalistica integra legittimo la manifestazione del pensiero

Quando l’attività giornalistica si esplichi nella c.d. “inchiesta” giornalistica, per consolidata giurisprudenza i riportati limiti all’esercizio del diritto di cronaca/critica devono avere un diverso ambito di applicazione.

Nel giornalismo di inchiesta l’acquisizione della notizia avviene “attivamente” da parte del professionista e non è mediata da “fonti” esterne mediante la ricezione “passiva” di informazioni. Il particolare rilievo del giornalismo di inchiesta è stato riconosciuto nell’art. 2 della legge professionale n. 69/1963 e nelle fonti transazionali.

La Corte Europea dei diritti dell’Uomo con sentenza 27.3.1996 ha riconosciuto il diritto di ricercare le notizie e l’esigenza di protezione delle fonti giornalistiche, e la Carta dei doveri del giornalista (firmata a Roma l’8 luglio 1993 dalla Fnsi e dall’Ordine nazionale dei giornalisti) tra i principi ispiratori, prevede testualmente che “il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile. Il giornalista ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli che possono essere frapposti al suo lavoro e compie ogni sforzo per garantire al cittadino la conoscenza ed il controllo degli atti pubblici.

La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato”. In tale contesto, al giornalismo di inchiesta, quale species, deve essere riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare in relazione ai limiti regolatori dell’attività di informazione, già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa e comunque diversa applicazione dell’attendibilità della fonte (su cui, tra le altre, Cass. n. 1205/2007), fermi restando i limiti dell’interesse pubblico alla notizia (tra le altre, Cass. n. 7261/2008), e del linguaggio continente, ispirato ad una correttezza formale dell’esposizione (sul punto, tra le altre, Cass. n. 2271/2005).

Ne consegue che l’inchiesta giornalistica rispetta il corretto esercizio del diritto di manifestazione del pensiero qualora ricorrano: l’interesse a rendere consapevole l’opinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti; l’uso di un linguaggio non offensivo e “la non violazione di correttezza professionale (Cass. n. 16236 del 9.7.2010).

Tribunale Roma sez. I, 22/02/2018, n.3941

Giornalismo d’inchiesta e uso di telecamera nascosta

L’utilizzo di una telecamera nascosta da parte di giornalisti che vogliono documentare l’impiego di prassi commerciali dannose per i consumatori è garantito dall’art. 10 della Convenzione europea che tutela la libertà di stampa. Non costituisce una violazione del diritto alla vita privata o alla reputazione la trasmissione di un filmato con l’utilizzo di una telecamera nascosta se il giornalista ha adoperato alcune accortezze per non consentire l’individuazione della persona privata e se il reporter ha agito nel rispetto della deontologia.

La previsione di una sanzione penale, seppure nella forma di una sanzione pecuniaria lieve, è contraria alla Convenzione europea.

Corte europea diritti dell’uomo sez. II, 24/02/2015, n.21830

Giornalismo d’inchiesta e tutela costituzionale della manifestazione del pensiero

Il giornalismo di denuncia è tutelato dal principio costituzionale in materia di diritto alla libera manifestazione del pensiero in contesti in cui sussiste l’interesse pubblico all’oggetto dell’indagine giornalistica e, quindi, il diritto della collettività a essere informata non solo sulle notizie di cronaca ma anche sui temi sociali di particolare rilievo attinenti alla libertà, alla sicurezza, alla salute e agli altri diritti di interesse generale.

In questa prospettiva, è scriminato il giornalista che eserciti la propria attività mediante la denuncia di sospetti di illeciti, allorquando tali sospetti, secondo un apprezzamento caso per caso riservato al giudice di merito, non siano obiettivamente del tutto assurdi, ma risultino espressi in modo motivato e argomentato sulla base di elementi obiettivi e rilevanti.

(Da queste premesse, la Corte ha rigettato il ricorso della parte civile avverso la sentenza che aveva mandato assolti i responsabili di una trasmissione televisiva nel corso della quale erano stati avanzati sospetti di possibili illeciti penali – segnatamente, di sofisticazioni dell’olio extravergine di oliva – commessi da alcuni imprenditori economici operanti nel settore alimentare; ciò sul rilievo che il giudice di merito, con motivazione adeguata, aveva apprezzato come i sospetti di illeciti fossero stati espressi in modo non congetturale, arbitrario e calunniatorio, ma attraverso la valorizzazione di elementi obiettivi, quali anche le dichiarazioni rese da uno degli interessati).

Cassazione penale sez. V, 12/12/2012, n.9337

Il giornalismo di inchiesta è espressione più alta e nobile dell’attività di informazione; con tale tipologia di giornalismo, infatti, maggiormente si realizza il fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche meritevoli, per il rilievo pubblico delle stesse.

Con il giornalismo di inchiesta l’acquisizione della notizia avviene “autonomamente”, “direttamente” e “attivamente” da parte del professionista e non mediata da “fonti” esterne mediante la ricezione “passiva” di informazioni.

Cassazione civile sez. III, 09/07/2010, n.16236

Diffamazione col mezzo della stampa

Nel bilanciamento tra diritto alla informazione e diritti della persona alla reputazione ed alla riservatezza, il primo tendenzialmente prevale sui secondi, attesa, ex art. 1, comma 2 cost., la funzionale correlazione della informazione con l’esercizio della sovranità popolare, che solo in presenza di una opinione pubblica compiutamente informata può correttamente dispiegarsi, ed alla luce anche della legislazione ordinaria (art. 25 l. n. 675 del 1996, 20 d.lg. n. 467 del 2001, 12 d.lg. n. 196 del 2003) che, appunto, riconduce reputazione e privacy nell’alveo delle “eccezioni rispetto al generale principio di tutela della informazione”.

Ulteriore principio affermato dalla Cassazione è che il giornalismo di inchiesta è da ritenersi legittimamente esercitato ove, oltre a rispettare la persona e la sua dignità, non ne leda la riservatezza per quanto in generale statuito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica.

L’esame dell’evoluzione delle norme dettate in materia (l. 31 dicembre 1996 n. 675, tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, art. 25; d. lgs. 28 dicembre 2001 n. 467, disposizioni correttive ed integrative della normativa in materia di protezione dei dati personali, a norma dell’art. 1 l. 24 marzo 2001 n. 127, art. 20; d. lgs. 30 giugno 2003 n. 196, codice in materia di protezione dei dati personali, art. 12) conduce a ritenere l’attività di informazione prevalente rispetto ai diritti personali della reputazione e della riservatezza, nel senso che questi ultimi, solo ove sussistano determinati presupposti, ne configurano un limite.

Per giungere a questa conclusione la Suprema Corte parte da due considerazioni:

  1. a) l’art. 1, comma 2, cost., nell’affermare che « la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione », presuppone quale imprescindibile condizione per un pieno, legittimo e corretto esercizio di detta sovranità che la stessa si realizzi mediante tutti gli strumenti democratici a tal fine predisposti dall’ordinamento, tra cui un posto e una funzione preminenti spettano all’attività di informazione; intanto il popolo può ritenersi costituzionalmente sovrano in quanto venga pienamente informato di tutti i fatti, eventi e accadimenti valutabili come di interesse pubblico;
  2. b) lo stesso legislatore ordinario ha ricondotto reputazione e privacy nell’alveo delle eccezioni rispetto al generale principio della tutela dell’informazione, tant’è vero che nello stesso codice deontologico dei giornalisti, all’art. 6, si legge testualmente che « la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti ».

Va peraltro segnalato che la giurisprudenza della Cassazione penale ha chiarito che anche per il giornalismo di inchiesta vi è un limite implicito, costituito dal fatto che l’attività del giornalista non deve consistere in comportamenti integranti di per sé illecito penale: cfr. Cass. pen. 3 febbraio 2010 n. 4699, in Diritto e giustizia, 2010, con nota di Natalini, Diritto di critica e di cronaca: è scriminato l’articolo che dà conto di un fatto vero, ma non altrettanto la condotta del giornalista troppo intraprendente che ha creato il fatto (violando la legge penale) per poi raccontarlo.

Cassazione civile sez. III, 09/07/2010, n.16236

Al cd. “giornalismo d’inchiesta”, quale “species” più rilevante della attività di informazione, connotata (come riconosciuto anche dalla Corte di Strasburgo) dalla ricerca ed acquisizione autonoma, diretta ed attiva, della notizia da parte del professionista, va riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare, in relazione ai limiti regolatori dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa, e comunque diversa, applicazione della condizione di attendibilità della fonte della notizia; venendo meno, in tal caso, l’esigenza di valutare la veridicità della provenienza della notizia, che non è mediata dalla ricezione “passiva” di informazioni esterne, ma ricercata, appunto, direttamente dal giornalista, il quale, nell’attingerla, deve ispirarsi ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali, tra l’altro, menzionati nella l. 3 febbraio 1963 n. 69 e nella Carta dei doveri del giornalista.

(In applicazione del suddetto principio la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il carattere diffamatorio di un articolo nel quale si denunciava l’inattendibilità dei risultati di analisi cliniche effettuate da un laboratorio, al quale erano stati consegnati campioni di the spacciati per liquido organico umano, senza che tale inganno fosse rilevato nel corso delle analisi).

Il cd. giornalismo d’inchiesta, da reputarsi quale espressione più alta e nobile dell’attività di informazione. Con tale tipologia di giornalismo, infatti, maggiormente si realizza il fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche meritevoli, per il rilievo pubblico delle stesse. Con il giornalismo di inchiesta l’acquisizione della notizia avviene “autonomamente”, “direttamente” e “attivamente” da parte del professionista e non mediata da “fonti” esterne mediante la ricezione “passiva” di informazioni.

Il giornalista ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli che possono essere frapposti al suo lavoro e compie ogni sforzo per garantire al cittadino la conoscenza ed il controllo degli atti pubblici. La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato. In tale contesto, al giornalismo di inchiesta, quale “species”, deve essere riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare in relazione ai limiti regolatori, dell’attività di informazione, quale “genus” già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa e comunque diversa applicazione dell’attendibilità della fonte, fermi restando i limiti dell’interesse pubblico alla notizia, e del linguaggio continente, ispirato ad una correttezza formale dell’esposizione; è, infatti, evidente che nel giornalismo di inchiesta, viene meno l’esigenza di valutare l’attendibilità e la veridicità della provenienza della notizia, dovendosi ispirare il giornalista, nell’”attingere” direttamente l’informazione, principalmente ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale. Ne consegue che detta modalità di fare informazione non comporta violazione dell’onore e del prestigio di soggetti giuridici, con relativo discredito sociale, qualora ricorrano: l’oggettivo interesse a rendere consapevole l’opinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti; l’uso di un linguaggio non offensivo e la non violazione di correttezza professionale. Inoltre, il giornalismo di inchiesta è da ritenersi legittimamente esercitato ove, oltre a rispettare la persona e la sua dignità, non ne leda la riservatezza per quanto in generale statuito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica.

Nella specie la S.C. ha negato il risarcimento dei danni subiti da un laboratorio di analisi a seguito della pubblicazione di alcuni di articoli che testimoniavano la negligenza del laboratorio sulle analisi effettuate.

Cassazione civile sez. III, 09/07/2010, n.16236

In tema di responsabilità risarcitoria derivante da diffamazione a mezzo stampa, il giornalismo di inchiesta, caratterizzato dal fatto che l’acquisizione della notizia avviene autonomamente, direttamente e attivamente da parte del professionista, senza la mediazione di fonti esterne attraverso la ricezione passiva di informazioni, deve ritenersi legittimamente esercitato, qualora sussista un oggettivo interesse a rendere consapevole l’opinione pubblica di fatti e avvenimenti socialmente rilevanti, venga usato un linguaggio non offensivo, non siano violate la correttezza professionale e le regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali.

(Nella specie, in considerazione della tutela riconosciuta al giornalismo di inchiesta, la Suprema Corte ha confermato la pronuncia di merito con cui era stata ritenuta legittima la pubblicazione su un quotidiano di articoli dove si riferiva che alcuni cronisti, dopo aver versato del tè in contenitori sterili, li avevano portati in vari laboratori di analisi, ottenendo referti secondo i quali nessun dubbio sussisteva circa la possibilità che il liquido esaminato non fosse urina).

Cassazione civile sez. III, 09/07/2010, n.16236

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