Diffamazione su Internet e risarcimento danni.

Come farsi risarcire in caso di offese online: la querela, il processo penale e la costituzione di parte civile, la causa per il risarcimento, le prove, la quantificazione del danno.

In caso di diffamazione su Internet è possibile chiedere il risarcimento oltre che procedere penalmente nei confronti del responsabile. La stessa querela dà origine a un processo penale nel corso del quale ci si può «costituire parte civile» proprio al fine di chiedere un indennizzo per il danno subito.

Tuttavia, è anche possibile rinunciare all’azione penale intraprendendo solo quella civile rivolta appunto al risarcimento.

Una cosa è certa: il risarcimento per diffamazione su Internet presuppone la prova di un danno, prova che può anche essere data tramite indizi. Secondo la giurisprudenza, non si può ritenere che il danno sia insito nella condotta diffamatoria, seppur illecita. Detto in termini tecnici, con linguaggio cioè da avvocati, il danno «non è in re ipsa», non è cioè insito nello stesso fatto; al contrario, va sempre dimostrato.

Di qui due ordini di problemi: come si dimostra il danno quando questo non è “visibile”, come succede di solito con tutti i danni morali? E a quanto ammonta il risarcimento per la diffamazione su Internet? Cerchiamo di fare il punto della situazione.

Indice:

1 Diffamazione su Internet: come si dimostra?

2 Come chiedere i danni per diffamazione su Internet

3 Come dimostrare i danni per diffamazione su Internet?

4 Come quantificare il danno da diffamazione su Internet?

Diffamazione su Internet: come si dimostra?

Per prima cosa, la prova. La prova è il perno di ogni processo. Senza di essa non si possono far valere i propri diritti. Chi afferma di essere stato diffamato su Internet deve quindi dimostrarlo. Come? Con gli screenshot ad esempio o anche, nel caso di un post pubblico sulla bacheca di un profilo, con le testimonianze di chi lo ha letto prima che lo stesso autore lo cancellasse.

Quanto agli screenshot, la giurisprudenza ha ormai ritenuto che essi possano avere valore di prova, sia nel processo penale che in quello civile.

Come chiedere i danni per diffamazione su Internet

Prima passiamo alle modalità operative: spieghiamo cioè come chiedere il risarcimento danni per la diffamazione su Internet. Due sono le vie:

tramite la costituzione di parte civile nel processo penale;

oppure intraprendendo una causa civile.

Nel primo caso, bisogna aver sporto una querela contro il responsabile. Se però la querela può essere proposta direttamente dalla vittima (che può rivolgersi ai Carabinieri, alla Polizia o direttamente alla Procura della Repubblica), la costituzione di parte civile nel conseguente processo penale deve avvenire tramite un avvocato.

All’esito del processo penale, con la sentenza che definisce il giudizio, il giudice condanna il colpevole (oltre che alle sanzioni previste dalla legge per la diffamazione) al pagamento di una «provvisionale»: si tratta di una somma determinata in modo provvisorio, in attesa di una successiva (ed eventuale) quantificazione più completa effettuata (su richiesta della vittima) dal giudice civile. Il danneggiato, quindi, una volta conclusosi il processo penale, dovrà intraprendere un separato e ulteriore giudizio (questa volta civile) proprio per vedersi liquidare tutto il danno.

In alternativa alla costituzione di parte civile, è possibile rivolgersi, sin dall’inizio, direttamente al giudice civile – sempre tramite un avvocato – per vedersi liquidare direttamente il risarcimento integrale. In questo caso, non essendoci un processo penale, non scatteranno neanche le relative sanzioni.

Le due vie che abbiamo appena descritto (costituzione di parte civile nel processo penale e causa civile) sono alternative. Se mai infatti si dovesse agire sia in via civile che con la costituzione di parte civile, la causa civile verrebbe sospesa in attesa di definizione di quella penale.

Come dimostrare i danni per diffamazione su Internet?

La Cassazione non ha raccomandato altro: per chiedere il risarcimento bisogna dimostrare i danni, anche in via presuntiva. Bisogna cioè dimostrare che c’è stato un pregiudizio all’onore e alla reputazione della vittima. A concorrere nel determinare il pregiudizio vi può essere, ad esempio, la reputazione di cui una persona gode e del credito sociale che ha (si pensi a uno stimato professore universitario); il lavoro che svolge la vittima e su cui una frase diffamatoria potrebbe gettare discredito, andando a generare diffidenza nella clientela; le conseguenze psicologiche e morali che la vittima abbia subito a seguito della diffamazione.

Come quantificare il danno da diffamazione su Internet?

La legge richiede la prova del danno ma non necessariamente del suo esatto ammontare. Ammontare che pertanto può essere determinato liberamente dal giudice «secondo equità», ossia in base a quanto gli appare giusto nel caso concreto.

Il magistrato deve cioè prendere in considerazione il fatto nel suo complesso, giudicando tutti gli elementi che possono aver contribuito ad incrementare il danno per la vittima. Tra questi ci sono:

il tempo in cui l’offesa è rimasta online: chi si attiva subito per cancellare un post non può essere punito allo stesso modo di chi invece è rimasto insensibile alla richiesta di cancellazione;

la gravità del fatto attribuito alla vittima o dell’offesa proferita: una cosa è dire «Luigi è un mafioso ed ha rapporti con la criminalità organizzata», un’altra è dire «è un incompetente»;

la verità del fatto attribuito: si può diffamare anche usando un tono sprezzante, oltre alla critica, per un fatto realmente accaduto, ma il comportamento è più grave se il fatto viene inventato di sana pianta;

la professione che svolge il danneggiato: è più dannosa un’offesa di pedofilia rivolta a un insegnante che ha a che fare con i bambini rispetto a un pensionato;

la pubblicità del mezzo utilizzato: reca più danni un articolo letto da un milione di persone che uno su un blog frequentato da pochi utenti.

Il giudice può ovviamente valutare anche ulteriori presupposti che ritenga determinanti ai fini della quantificazione del danno.

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