Compravendita immobile abusivo: si può demolire?

Niente demolizione se l’acquirente è in buona fede perché il titolo edilizio era stato riportato nel rogito notarile e se l’ordine del Comune è tardivo.

Hai comprato un appartamento e un box auto con un regolare atto del notaio e poi, a distanza di molti anni dall’acquisto, ti arriva un ordine di demolizione emesso dal Comune: il fabbricato è abusivo perché quelle opere non risultano autorizzate o, più precisamente, sono difformi rispetto al permesso di costruire rilasciato. Non te lo aspettavi: lo stupore è grande e la paura per le conseguenze è ancora maggiore. Rischi di perdere tutto senza essere responsabile di nulla.

Quando avviene la compravendita di un immobile abusivo, si può demolire? La giurisprudenza tende a porre un freno agli abbattimenti indiscriminati e circoscrive notevolmente la portata degli ordini di demolizione emessi dai Comuni, soprattutto se sono tardivi e non motivati: spesso, li annulla, ritenendo che l’atto di compravendita prevale se richiama gli estremi del titolo edilizio e da ciò si può desumere che l’acquirente era in perfetta buona fede quando ha comprato l’immobile.

Indice:

1 La commerciabilità degli immobili abusivi

2 La demolizione dell’immobile abusivo

3 Demolizione per abuso compiuto dal precedente proprietario.

La commerciabilità degli immobili abusivi

La legge [1] dispone che gli atti di compravendita «aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria». Quindi, per gli immobili costruiti posteriormente a tale data, il venditore deve dichiarare gli estremi del permesso di costruire o della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività), altrimenti il notaio non potrà redigere un atto valido.

Secondo la Corte di Cassazione [2], la nullità dell’atto di compravendita consegue solo all’assenza di tale dichiarazione e non, invece, alla mancata conformità dell’immobile al titolo edilizio: per approfondire questo aspetto leggi “Abuso edilizio commesso dal precedente proprietario”.

La demolizione dell’immobile abusivo

Il Testo Unico dell’Edilizia [3] stabilisce che gli interventi eseguiti «in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo ovvero con variazioni essenziali» comportano la rimozione o la demolizione delle opere abusivamente realizzate, a prescindere da chi ne sia proprietario nel momento in cui l’abuso viene rilevato. L’ordine di demolizione è emanato con un apposito provvedimento emesso dall’Amministrazione comunale, in persona del dirigente o del responsabile dell’ufficio tecnico che ha accertato gli abusi.

La demolizione può essere disposta anche dal giudice penale con la sentenza di condanna per il reato di abuso edilizio [5]. Per ulteriori informazioni in proposito leggi “Ordine di demolizione abuso edilizio: cosa c’è da sapere“.

Demolizione per abuso compiuto dal precedente proprietario

Con una nuova sentenza, il Tar Campania [5] ha annullato integralmente l’ordine di demolizione rivolto al successivo acquirente, che è risultato in perfetta buona fede: nel corso del processo, è emerso che le opere asseritamente abusive sarebbero state realizzate nel 1962, cioè molti anni prima dell’acquisto da parte del nuovo proprietario. Inoltre, il notaio aveva correttamente richiamato, nell’atto di compravendita, gli estremi della licenza edilizia rilasciata all’epoca dal Comune e aveva precisato che l’immobile era stato ultimato in data anteriore al 1° settembre 1967 (questa dichiarazione, resa dal venditore in forma di atto notorio, rende superfluo indicare il permesso di costruire).

L’atto conteneva anche una specifica dichiarazione del venditore, secondo cui sull’immobile «non sono mai stati eseguiti altri interventi edilizi o mutamenti della destinazione d’uso per i quali fosse necessario il rilascio di licenze, concessioni, permessi di costruire anche in sanatoria o autorizzazioni o Dia». Per questi motivi, il Tar ha ritenuto che «la presenza di un titolo abilitativo edilizio ha generato nel privato l’affidamento in ordine alla legittimità del proprio acquisto»: dunque, l’acquirente è stato ritenuto incolpevole ed estraneo agli eventuali abusi commessi e non poteva subirne le ricadute negative che l’esecuzione della demolizione avrebbe provocato.

Inoltre il Comune aveva emesso direttamente l’ordine di demolizione, senza farlo precedere da un provvedimento esplicito e autonomo di esercizio dell’autotutela [6] e dalla comunicazione di avvio del procedimento amministrativo [7]. Il Collegio rileva che «se l’Amministrazione avesse preventivamente comunicato l’avvio del procedimento, parte ricorrente avrebbe potuto rappresentare quanto dedotto: posizione di terzo acquirente in buona fede, insussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, decorso di un notevole lasso di tempo, circa sessant’anni».

Sulla decisione di annullamento dell’ordine di demolizione ha perciò pesato il fatto che il provvedimento era stato adottato a distanza di oltre 50 anni dalla realizzazione del fabbricato e il Comune non aveva motivato quale fosse l’interesse pubblico attuale alla rimozione di un fabbricato regolarmente acquistato da un privato. La contraddittorietà ed illogicità dell’azione amministrativa era emersa anche dal fatto che durante tutto questo lungo arco di tempo il Comune aveva riscosso i tributi locali ed aveva anche concesso alcuni titoli abilitativi, come Dia e Cila (la comunicazione di inizio lavori asseverata) per effettuare ristrutturazioni e interventi di manutenzione straordinaria sul fabbricato condominiale.

Note:

[1] Art. 46 D.P.R. n. 380/2001.

[2] Cass. Sez. Un. sent. n. 8230 del 22.03.2019 e Cass. ord. n. 22168 del 05.09.2019.

[3] Art. 31 D.P.R. n. 380/2001.

[4] Art. 44 D.P.R. n. 380/2001.

[5] Tar Campania, sent. n. 2123 del 31.03.2021.

[6] Art. 21 nonies L. n. 241/1990.

[7] Art. 7 e art. 10 bis L. n. 241/1990.

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