La voce del minore nei procedimenti di separazione e di divorzio.

La voce del minore nei procedimenti di separazione e di divorzio.

L’ascolto del minore nei procedimenti di separazione e divorzio, tra interventi normativi, dottrina e giurisprudenza.

Indice:

Quale interesse superiore da tutelare?

Ascolto del minore: radici normative dell’istituto

Il punto di vista del giudice di legittimità

Il ruolo del minore nella procedura di negoziazione assistita

Quale interesse superiore da tutelare?

Interventi normativi mirati, ricca dottrina e copiosa giurisprudenza in materia non hanno limitato ma, anzi, esteso il novero dei possibili significati da attribuire all’interesse del minore, che, coinvolto in nuove situazioni partecipative, si vede ricoprire, nel contempo, più ruoli.

Ascolto del minore: radici normative dell’istituto

Nell’ordinamento interno, punto di partenza può dirsi sia stato l’art. 4 della L. 898/70, che, come da ultimo modificato dal D. Lgs. 154/2013, recita “se la conciliazione non riesce, il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché, disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, dà, anche d’ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole…” (comma 8).

A ben definire i contorni del diritto in questione, è però intervenuta la L. 54/2006, con l’introduzione, quanto all’affidamento condiviso dei figli, dell’art.155 sexies c.c., poi abrogato dal D.Lgs. 154/2013, per giungere all’introduzione, con la L. 212/2019, dell’art. 315 bis c.c. sui “diritti e doveri del figlio”: di qui, l’attribuzione al figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, del “diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”.

Quindi, il D.lgs. 154/2013, in attuazione della delega di cui all’art. 2, comma 1, lett. i), della L. 219/2012, ha avuto il pregio di introdurre gli artt. 336bis e 337octies c.c.

Così, ex art. 336 bis c.c., è previsto l’ascolto del minore che abbia compiuto i dodici anni, o di età inferiore se capace di discernimento, nei procedimenti in cui devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano, pur essendosi rimesso al presidente o al giudice delegato il compito di verificare che tale attività non sia “in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo”; nell’art. 337 octies c.c.,invece, si legge dell’ascolto del minore che abbia compiuto i dodici anni o infradodicenne, se capace di discernimento, disponendo che “nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo”.

Infine, nell’ambito della disciplina dell’affidamento del figlio nato fuori dal matrimonio e del suo inserimento nella famiglia del genitore, non si tralasci il disposto di cui all’ art. 252, ult. co., c.c., per cui “prima dell’adozione del provvedimento, il giudice dispone l’ascolto dei figli minori che abbiano compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capaci di discernimento”.

A livello sovranazionale, invece, autentico valore all’opinione del fanciullo, “tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità”, è stato attribuito dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989: in conformità, infatti, gli Stati sono tenuti a garantire “al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa…” (art. 12, comma 1). Non di minore rilievo la possibilità, per il minore stesso, “di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale” (art. 12, comma 2).

E se, con la Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993, si era già stabilita la rilevanza dei desideri e delle opinioni del minore in materia di adozione internazionale, con la Convenzione europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 25 gennaio 1996, l’ascolto ha assunto il rango di diritto processuale, con tutti i conseguenti obblighi del Giudice al riguardo.

Di diritto del minore a poter esprimere liberamente la propria opinione, nelle questioni che li riguardino ed in funzione della loro età e maturità, si legge, ancora, nella Carta dei diritti fondamentali riguardino ed in funzione della loro età e maturità, si legge, ancora, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000 (art. 24), oltre che nella Convenzione di Strasburgo del 15 maggio 2003 sulle relazioni personali.

Il punto di vista del giudice di legittimità

A ben vedere, come rimarcato anche nelle pronunce di Cassazione, è proprio il diritto del minore all’audizione che garantisce la concreta e corretta valutazione dell’interesse che gli appartiene. Così, in materia di suo affidamento, il Giudice di legittimità ha ritenuto misura non adeguata la mera acquisizione al fascicolo processuale delle relazioni a firma degli assistenti sociali, quali soggetti che in precedenza lo avevano esaminato, sostenendo, invece, la necessità di un esame diretto ovvero di un incarico conferito ad esperti, a ciò appositamente delegati. In ogni caso, per giungere a decisioni orientate dal preminente interesse del minore, senza tralasciare la sua effettiva capacità di discernimento, anche eventualmente minata dall’intensità dei contrasti fra i genitori (Cass. n. 6129/2015; n. 12018/2019).

In altre pronunce, l’audizione del soggetto almeno dodicenne, e anche di età minore ove capace di discernimento, è stata considerata una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse, tanto che il Giudice sarà legittimato a non ricorrervi solo laddove egli ritenga, con specifica e circostanziata motivazione, l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore stesso (Cass. n. 19327/2015; Cass. Sez. Unite n. 22238/2009).

Del resto, secondo l’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità, il Giudice chiamato a pronunciarsi sarà comunque tenuto a motivare le ragioni per cui ritiene il soggetto infradodicenne incapace di discernimento, qualora dovesse decidere di non disporne l’ascolto, così come dovrà motivare l’idoneità dell’ascolto, effettuato nel corso delle indagini peritali, a sostituire un’audizione diretta ovvero un ascolto demandato a un esperto, al di fuori del contesto relativo allo svolgimento di un incarico peritale (Cass.n. 12957/2018).

Anzi, in maniera ancora più incisiva sull’obbligo di motivazione, “l’audizione del minore infradodicenne capace di discernimento —direttamente da parte del giudice ovvero, su mandato di questi, di un consulente o del personale dei servizi sociali —costituisce adempimento previsto a pena di nullità ove si assumano provvedimenti che lo riguardino, salvo che il giudice non ritenga, con specifica e circostanziata motivazione, l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore” (Cass. n. 3913/2018; Cass. n. 19327/2015).

Ancora, e sempre in materia di affidamento, la Suprema Corte, ulteriormente precisando le condizioni dell’istituto, ha sottolineato come il minore, parte in senso sostanziale del procedimento, sia portatore di interessi diversi e spesso antitetici a quelli del genitore, anche nella decisione di non valorizzare le dichiarazioni del figlio, la cui libertà può essere non più libera ma fortemente condizionata dal clima di conflittualità genitoriale (Cass. n. 12018/2019).

Il ruolo del minore nella procedura di negoziazione assistita

Come noto, nell’ottica di una volontà di “degiurisdizionalizzazione” dei conflitti familiari, il D.L. 132/2014, convertito con modificazioni dalla L. 162/2014, consente che l’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita produca gli effetti e tenga luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione e divorzio (art.6). E’ tuttavia derivata la necessità, per il Legislatore, di predisporre determinati “controlli”, data la peculiarità delle situazioni oggetto di disciplina, pur nella accortezza di non scoraggiare l’autonomia delle parti: è dunque compito del Procuratore della Repubblica o del Presidente del Tribunale, quello di accertare che l’accordo stipulato in sede di negoziazione assistita risponda all’interesse dei figli.

Eppure, nel testo normativo in esame, nulla si legge in merito all’ascolto del minore, la cui voce è stata messa a tacere, nella completa dimenticanza di un possibile richiamo sia all’art. 337-septies, comma 2, c.c. (a tutela dei figli maggiorenni portatori di handicap gravi), sia all’art. 337-octies c.c. (con riferimento, appunto, all’esercizio della responsabilità genitoriale in materia di separazione e di divorzio).

Sembrerebbe, allora, esservi deroga all’istituto nonchè eccezione alla rinnovata figura del minore come “soggetto”: la sua opinione, la sua volontà, i suoi bisogni non è previsto siano oggetto di valutazione né da parte dei difensori né da parte del Procuratore della Repubblica in sede di rilascio della prescritta autorizzazione né, infine, da parte del Presidente del Tribunale in caso di diniego di autorizzazione da parte del PM.

Ebbene, a non volersi rinnegare quanto sinora emerso, secondo la effettuata ricostruzione normativa e giurisprudenziale, ogni opportunità avrebbe una interpretazione sistematica dell’intero quadro normativo in tema, nonostante la sfida delle conseguenti problematiche di natura procedimentale. A rigor di logica, infatti, la intangibilità dei diritti del minore non subisce attenuazione ad opera del carattere amministrativo della procedura di negoziazione, tanto che le ipotesi di mancato ascolto ben potrebbero costituire ragioni di diniego di autorizzazione del relativo accordo.

Quanto, poi, alla figura del difensore, legittimo è interrogarsi sulla operatività, anche in tale contesto, dell’art. 56, comma 2, del Codice Deontologico Forense, che contempla il divieto assoluto, per l’avvocato del genitore, di avere contatti e colloqui con i figli minori sulle circostanze oggetto di controversie familiari e minorili. E, se da un lato, potrebbe ostarvi una ragione di natura meramente formale, ovvero il fatto che la disposizione sia inserita nel Titolo IV, dedicato ad “doveri dell’avvocato nel processo”, dall’altro potrebbero esservi, in favore, motivi di natura sostanziale, a garanzia della libertà del minore di esprimersi liberamente, senza condizionamenti di alcuna sorta.

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