Inserirsi in una lezione in dad (didattica a distanza) è reato? Le accuse di interruzione di pubblico servizio e accesso abusivo a un sistema informatico o telematico. L’accesso abusivo a un sistema informatico o telematico.

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Inserirsi in una lezione in dad (didattica a distanza) è reato?

Le accuse di interruzione di pubblico servizio e accesso abusivo a un sistema informatico o telematico. L’accesso abusivo a un sistema informatico o

telematico.

Cosa si rischia per fare delle incursioni a scopo di disturbo nelle piattaforme della didattica a distanza?

Chi lo fa per scherzo, chi per protesta, chi per uccidere la noia. Non potendo rompere le scatole in presenza, lo fanno da remoto. Così, chi già fa fatica a seguire la scuola da casa, tra mille difficoltà, le distrazioni e la rete che non sempre è stabile, si trova anche i disturbatori della didattica a distanza. Seccatori per vocazione che quasi mai agiscono da soli perché il fastidio di gruppo ha un sapore più dolce. Ignari, però, del rischio che corrono: sono talmente concentrati a distrarre gli altri da non pensare che inserirsi in una lezione in dad è reato. Non è solo uno scherzo, va al di là della protesta e non è il metodo migliore per uccidere la noia: è un reato. E come tale va punito.

Lo dicano al gruppetto di ragazzini che sono stati scoperti ed acciuffati dalla Polizia postale di Genova. Una vera e propria banda di giovanissimi che, da un anno a questa parte, anziché accendere il computer per scoprire chi era William Shakespeare o per sapere quanto fa due più due, lo accendevano per fare delle incursioni nelle piattaforme utilizzate da docenti e studenti per la didattica a distanza. «Una banda specializzata» li hanno chiamati gli investigatori. Gente che ha sbagliato materia di studio e che si è data da fare per imparare in fretta come rovinare il lavoro degli altri a scopo di divertimento. E che ora si vede apparire sullo schermo le accuse di interruzione di pubblico servizio e accesso abusivo a un sistema informatico o telematico.

Il trucco utilizzato già dal primo lockdown da quelli che hanno ammesso di essere i «disturbatori seriali» della dad non era molto complicato. Si facevano consegnare le credenziali di accesso da qualche studente (connivente o minacciato, questo sarà da vedere), dopodiché si registravano sotto falso nome e davano il via allo show: bestemmie, urla, parolacce, perfino qualche immagine pornografica, per non farsi mancare nulla. In questo modo, le lezioni venivano interrotte più volte, togliendo agli studenti il sacrosanto diritto di svolgere la loro attività e ai docenti la possibilità di lavorare serenamente. Registravano con il cellulare le facce sorprese o infastidite della classe e poi le facevano girare via WhatsApp. Il tutto nella convinzione di essere non solo invisibili ma anche intoccabili: «La polizia non perderà tempo a cercarci e non ci troverà», ha scritto uno di loro in una chat.

Eccoli serviti. Uno degli agenti si è infiltrato in uno dei gruppi appositamente creati dai giovani su Telegram e su Instagram per comunicare tra di loro riuscendo, in questo modo, a risalire all’identità dei disturbatori. Hanno tra i 17 e i 20 anni e vivono a Messina e a Milano.

Il reato di interruzione di pubblico servizio [art. 340 cod. pen.] prevede che «chiunque cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno». Che la didattica a distanza sia un servizio pubblico, oltre che di pubblica necessità, appare piuttosto evidente. Bisognerà accertare da chi è partita l’iniziativa, perché il Codice penale dice anche che «i capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni».

C’è, poi, l’altro reato, ovvero quello di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico [art. 615-ter cod. pen.]. La normativa stabilisce che «chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni». Ma anche qui ci sono delle aggravanti. Tra queste, il fatto che l’incursione illecita avvenga in un sistema informatico «di interesse militare o relativo all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque d´interesse pubblico». La piattaforma per la didattica a distanza si potrebbe inserire in quest’ultimo ambito. La pena prevista è la reclusione da uno a cinque anni.

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