Pignoramento e sequestro conto corrente: quale differenza. Sentenza della Corte Suprema di Cassazione n.10772 del 19 marzo 2021.

Vincolo sui depositi apposto dai creditori o dall’autorità giudiziaria: quali sono i rapporti e quando opera il limite di impignorabilità delle somme giacenti.

Le disgrazie non finiscono mai: le somme giacenti in deposito su un conto corrente possono essere colpite non solo dai consueti pignoramenti, ma anche dal sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei proventi di un reato. E quando ciò accade si tratta di stabilire qual è la differenza tra il pignoramento ed il sequestro del conto corrente e, quindi, come questi due diversi vincoli giuridici operano per bloccare somme che si trovano già depositate o che arriveranno in futuro, ad esempio per gli accrediti periodici dello stipendio, della pensione o di altri emolumenti derivanti da un rapporto di lavoro o di impiego.

Indice:

1 Pignoramento conto corrente e sequestro di somme: rapporti

2 Pignoramento conto corrente: limiti

3 Pignoramento pensione accreditata in conto corrente

4 Pignoramento stipendio accreditato in conto corrente

5 Sequestro del conto corrente

6 Rapporti tra confisca e pignoramento.

Pignoramento conto corrente e sequestro di somme: rapporti

Il pignoramento del deposito bancario è un vincolo giuridico di natura civile, apposto dal creditore sui beni del debitore per cautelarsi da dispersioni del patrimonio e così garantire il soddisfacimento del suo credito.

Il sequestro di somme giacenti su un conto corrente o altri tipi di deposito bancario, invece, è un provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria nell’ambito di un procedimento penale ed è preordinato alla confisca: ha la funzione di sottrarre il più presto possibile all’autore del reato – o anche a chi è gravemente indiziato di esserlo, senza essere stato ancora condannato – le disponibilità finanziarie che si ritengono acquisite mediante la commissione dell’illecito penale.

Pignoramento conto corrente: limiti

Le somme depositate su un conto corrente non sono interamente pignorabili: ci sono dei limiti, che però valgono solo per i lavoratori dipendenti ed i pensionati e a condizione che gli emolumenti relativi – quindi, lo stipendio o la pensione – affluiscano proprio su quel conto, mentre gli altri rapporti bancari o finanziari non sono soggetti a questi vincoli.

Sia per i lavoratori dipendenti sia per i pensionati esiste un importo minimo impignorabile, che il legislatore [1] ha stabilito per consentire a questi soggetti di fronteggiare le esigenze elementari di vita. È il cosiddetto criterio del minimo vitale e ora ti spiegheremo come funziona in concreto, quando il pignoramento colpisce il conto corrente di un lavoratore dipendente o di un pensionato che riceve l’accredito periodico degli emolumenti su quel rapporto bancario.

Pignoramento pensione accreditata in conto corrente

Le pensioni e gli emolumenti equivalenti (indennità, assegni di quiescenza, ecc.) che vengono accreditate su un conto corrente, bancario o postale, intestato al percettore possono essere pignorate solo per l’eccedenza rispetto a questi limiti:

se l’accredito avviene prima del pignoramento, è impignorabile l’importo che non eccede il triplo dell’assegno sociale. Per il 2021, questa cifra è pari a 1.380,84 euro (l’assegno ammonta a 460,28 euro e viene moltiplicato per 3);

gli accrediti delle mensilità successive alla data del pignoramento sono pignorabili fino al massimo di 1/5 della somma versata sul conto, corrispondente quindi al 20%.

Questi limiti sono validi salvo alcuni casi particolari, come i crediti alimentari, che possono essere pignorati nella misura stabilita dal giudice, o i pignoramenti eseguiti da Agenzia Entrate Riscossione: qui, per le pensioni fino a 2.500 euro, si può pignorare ogni mensilità di pensione fino al massimo di un decimo. Il limite sale ad un settimo se la pensione arriva a 5.000 euro e arriva ad un quinto se è di importo superiore.

Le pensioni di invalidità e gli assegni di accompagnamento non possono essere pignorate in quanto costituiscono prestazioni assistenziali; così come, di fatto, non si può pignorare la pensione sociale perché il suo importo corrisponde all’assegno sociale aumentato del 50% e, dunque, essa rientra interamente nel limite del minimo vitale. Per approfondire questi casi leggi “Quando la pensione non è pignorabile”.

Pignoramento stipendio accreditato in conto corrente

Anche per gli stipendi e le indennità equivalenti, ma comunque relative ad un rapporto di lavoro dipendente, operano limiti analoghi a quelli che abbiamo appena visto in caso di pensione, a condizione che essi vengano accreditati sul conto corrente oggetto di pignoramento.

Così per gli accrediti che risultano già avvenuti prima della data del pignoramento del conto corrente è previsto il medesimo limite di impignorabilità di 1.380,84 euro, pari al triplo dell’assegno sociale, mentre per gli accrediti successivi, e dunque per le mensilità che vengono versate dal datore dopo l’avvenuto pignoramento del conto, opera il limite massimo del quinto pignorabile, dunque il 20%. Se però il creditore pignorante è l’Agenzia Entrate Riscossione, la busta paga mensile può essere pignorata fino a un decimo se non supera 2.500 euro, fino ad un settimo se è compresa tra 2.500 e 5.000 euro e fino a un quinto se oltrepassa tale soglia.

Sequestro del conto corrente

Il conto corrente può essere anche colpito (indipendentemente da qualsiasi pignoramento) da un sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Con questo strumento il prezzo, il prodotto o il profitto del reato vengono appresi dall’autorità giudiziaria e il titolare del conto su cui le somme sono depositate ne perde la disponibilità. La somma sequestrata non è necessariamente quella medesima conseguita con il delitto ma il suo equivalente monetario, poiché il denaro è per sua natura un bene fungibile.

Così il giudice penale, su richiesta del pubblico ministero, opera il sequestro per equivalente del profitto ottenuto dall’autore del reato, che da quel momento non potrà più prelevare o utilizzare altrimenti quelle somme. Potrà far cadere il vincolo solo impugnando il provvedimento al tribunale del riesame o, per motivi di legittimità, in Cassazione.

Al termine del processo penale, se la condanna viene confermata e passa in giudicato, il sequestro diventa confisca e la perdita del denaro, per il soggetto che ormai è stato riconosciuto definitivamente colpevole, diventa definitiva. Altrimenti, se vi è l’assoluzione o ci sono altre forme di proscioglimento, il sequestro viene revocato e le somme tornano nella disponibilità del titolare del conto.

Il sequestro delle somme di denaro giacenti su un conto corrente è sempre disposto dall’autorità giudiziaria con provvedimento motivato. Serve per apporre un vincolo, anticipato rispetto alla confisca che interverrà quando la condanna sarà divenuta definitiva, sulle disponibilità economiche che altrimenti potrebbero facilmente essere prelevate dal titolare del conto e fatte facilmente sparire. Il sequestro funzionale alla confisca può essere adottato per i reati contro la Pubblica Amministrazione, per alcuni gravi delitti come l’estorsione o la rapina ed anche per i reati tributari.

Rapporti tra confisca e pignoramento

Ora, possiamo vedere quali sono i rapporti tra il sequestro preordinato alla confisca ed il pignoramento. Secondo la giurisprudenza maggioritaria [2] (ma l’orientamento non è unanime), le norme che abbiamo esaminato trovano applicazione anche nei procedimenti penali: così nel sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei proventi del reato non possono essere vincolate somme giacenti sul conto corrente fino al triplo della pensione sociale. Ma ciò – come ha affermato la Cassazione in una recente sentenza [3] – si verifica solo «allorquando sia certo che costituiscono emolumenti corrisposti nell’ambito del rapporto di lavoro e di impiego».

In altri termini, quando si tratta di sequestro e confisca, per tutte le altre somme in deposito che non derivano da tali fonti lavorative, o per quelle ulteriori che saranno versate sul conto, i limiti del minimo vitale al pignoramento non operano e allora il sequestro opererà senza altri limiti se non quelli stabiliti nel provvedimento del giudice, che fissa l’importo del profitto del reato e la concorrenza sino alla quale il sequestro sarà operativo. Dunque, solo se il soggetto colpito dal sequestro ha accreditato il suo stipendio o la sua pensione su quel conto corrente si applicherà il criterio del minimo vitale che abbiamo esaminato.

Inoltre, la sentenza afferma che «deve escludersi che tale limite debba essere rapportato a ogni mensilità già percepita alla data di esecuzione del pignoramento (o sequestro), in quanto il legislatore, per tutelare le esigenze di vita minime del lavoratore o del pensionato, ha inteso salvaguardarne, sottraendole al pignoramento (o sequestro) solo una quota, determinata nella misura del triplo della pensione sociale». Ciò significa che il limite opera solo entro tale ammontare e in un’unica occasione, non più volte: il tetto non può operare per ciascuna mensilità e così le somme ancora da corrispondere, come le retribuzioni mensili che affluiranno sul conto già sequestrato, potranno essere automaticamente sottoposte al vincolo anche oltre quella soglia: «il limite del triplo dell’importo dell’assegno sociale può operare una sola volta» – afferma il Collegio – e «a condizione che sia certa la natura della somma».

Note:

[1] Art. 545 Cod. proc. civ.

[2] Cass. sent. n. 14606 del 14.03.2019.

[3] Cass. sent. n. 10772 del 19.03.2021.

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