Covid: uscire in zona rossa non è reato. Sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n.54/2021.

Covid: uscire in zona rossa non è reato

Il giudice assolve una coppia uscita di casa durante il lockdown perché il Dpcm che vieta gli spostamenti è illegittimo per contrasto con la Costituzione.

Assolti nonostante la falsa autocertificazione: con una nuova sentenza il giudice del tribunale di Reggio Emilia [Trib. Reggio Emilia, sent. n. 54/2021] ha prosciolto una coppia che in pieno lockdown e in zona rossa era uscita di casa senza valido motivo ed anzi dichiarando una ragione che è risultata inventata e fasulla. I due erano stati fermati dai Carabinieri per un controllo e avevano esibito un’autocertificazione in cui c’era scritto che la donna doveva fare delle analisi urgenti e l’uomo, un suo amico, la stava accompagnando.

Non era così: i militari dell’Arma hanno accertato che non erano mai stati in ospedale. Così sono stati denunciati entrambi e finiti sotto processo per il reato di falso ideologico in atto pubblico [2] che prevede una pena fino a due anni di reclusione. Ma sono stati assolti con la formula «perché il fatto non costituisce reato».

Perché, se il falso era conclamato? Nelle motivazioni, il giudice afferma che il reato non è configurabile in quanto si tratta di un «falso inutile» e, a ben vedere, non ci sarebbe alcun valido divieto di spostamento imposto ai cittadini: anzi, il Dpcm (si trattava del primo Decreto emanato dal premier Conte, quello dell’8 marzo 2020) è illegittimo.

Infatti, la sentenza spiega che, secondo la Costituzione, le limitazioni alla libertà personale possono avvenire solo in base ad un atto dell’autorità giudiziaria e non possono essere disposte da un atto amministrativo, quale è il Decreto emanato dal presidente del Consiglio. Inoltre, le restrizioni devono essere disposte «nei casi e modi previsti dalla legge» e dunque non con limitazioni generalizzate e assolute della libertà personale come invece si è verificato – spiega il giudice – con «l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini».

Dunque, i Dpcm sarebbero incostituzionali? Per il giudice emiliano sì: emerge la contrarietà sia all’articolo 13 della Costituzione, che vieta le limitazioni alla libertà personale, sia all’articolo 16 della Carta, che sancisce una libertà di circolazione che l’autorità amministrativa non può conculcare neanche quando si esprime al suo livello massimo di governo, cioè attraverso il presidente del Consiglio dei ministri. E nessun cittadino può essere «costretto a sottoscrivere un’autocertificazione incompatibile con lo stato di diritto del nostro Paese e dunque illegittima».

Di conseguenza, il giudice, senza bisogno di ricorrere alla Consulta (non essendo il Dpcm una legge), ha «disapplicato» l’atto amministrativo per illegittimità costituzionalmente rilevante [3]; così, caduta la norma che prescriveva il divieto di spostamento, anche la falsa rappresentazione dei motivi nell’autocertificazione risulta «priva di rilevanza offensiva» e, dunque, scriminata. In sostanza, non c’è nessun obbligo di compilare l’autocertificazione perché il Dpcm che lo prevede è un atto regolamentare che non può contrastare con la norma primaria della Costituzione; così anche chi dichiara il falso non commette alcun reato.

Note:

[1] Trib. Reggio Emilia, sent. n. 54/2021.

[2] Art. 483 Cod. pen.

[3] Art. 5 Legge n. 2248/1865.

Posti di blocco all’ingresso di Sala Consilina (Salerno), uno dei paesi campani dove è scattata la quarantena, 16 marzo 2020. ANSA/LUIGI PEPE

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