Non è reato coltivare in casa poche piante di hashish. Sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 6599/2021.

La Cassazione annulla una condanna perché la quantità di canapa detenuta presuppone l’uso personale: si tratta di illecito amministrativo.

Poche piante di hashish coltivate in casa, che equivalgono in termini pratici a qualche dose spicciola di sostanza stupefacente, non comportano una condanna. Secondo la Cassazione [Cass. sent. n. 6599/2021], si tratta di una pratica finalizzata al consumo personale e non allo spaccio, quindi la condotta non è punibile.

La sentenza in commento riguarda il caso di un uomo a cui era stata contestata la coltivazione di 11 piante di canapa in alcuni vasi tenuti nella sua abitazione. Considerato il peso delle piante, si era giunti alla conclusione che il principio attivo contenuto era pari a un paio di dosi. Due canne e via, tanto per essere espliciti. Troppo poco per accusare l’imputato di spaccio: più plausibile che quel minuscolo orticello di canapa servisse al proprietario a fare uso personale del raccolto.

Prima, però, benché l’uomo fosse stato assolto dal reato di detenzione ai fini di cessione di alcune dosi, la Corte territoriale lo aveva condannato per la coltivazione delle 11 piante di canapa, riducendo la pena a tre mesi di reclusione e 600 euro di multa. Da qui, il ricorso in Cassazione per chiedere l’annullamento: ad avviso della difesa, non era stata verificata e valutata la condotta offensiva, a maggior ragione quando l’imputato era stato assolto dall’accusa di detenzione e non era stata provata la finalità di spaccio.

E, in effetti, la Suprema Corte ha confermato la sua teoria. In primis, ha ricordato quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione, ovvero: «Devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».

Riassumendo: secondo gli Ermellini, non è punibile chi coltiva dell’hashish a casa sua a condizione che:

le piante siano di modeste dimensioni;

la tecnica di coltivazione sia rudimentale, non sofisticata;

si tratti di un numero ridotto di piante;

il quantitativo di sostanza stupefacente che si ricava dalla pianta sia molto modesto;

non ci siano le condizioni per introdurre quel quantitativo nel mercato degli stupefacenti;

sia evidente che si tratta di una coltivazione ad uso personale.

Attenzione, però: la Cassazione premette nella sua sentenza che «il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficiente la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e produrre sostanza stupefacente e la individuazione della condotta di coltivazione come quella svolta dall’agente in ogni fase dello sviluppo della pianta, dalla semina fino al raccolto».

In altre parole: coltivare la canapa in casa, è un potenziale reato. Tuttavia, aggiunge il Palazzaccio, «qualora si sia in presenza di coltivazione domestica a fini di autoconsumo, sulla scorta dei descritti caratteri materiali della condotta, il fatto sarà da considerare non tipico e pertanto non penalmente rilevante né punibile anche se, ricorrendone i presupposti, ovvero in quanto “detentore” di stupefacente destinato all’uso personale, il coltivatore-consumatore dovrà essere assoggettato alle sanzioni» previste dalla legge. Significa che questa condotta viene classificata non come reato ma come illecito amministrativo.

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