VIOLENZA SESSUALE. PALPEGGIAMENTI. Cass. sent. n. 3230/21 del 27 gennaio 2021.

Toccare il sedere: quando è violenza sessuale?

Le regole per stabilire se c’è il reato nei vari casi di toccamenti, palpeggiamenti o pacche sui glutei: volontarietà del gesto, durata del contatto, motivi.

Toccamenti, sfregamenti, palpeggiamenti, ma anche gli occasionali sfioramenti o le improvvise pacche sul sedere possono costituire il reato di violenza sessuale, perché coinvolgono parti intime del

corpo; e questo vale anche quando sono coperte dai vestiti.

Non occorre che vi sia una costrizione fisica e tantomeno un rapporto sessuale completo con la vittima, basta solo un contatto significativo, come quello che può avvenire con una carezza invadente

o con la “mano morta”.

Ma le possibilità sono infinite e la giurisprudenza deve spesso occuparsi di casi limite tra l’innocuo e l’illecito. Una di queste ipotesi riguarda l’azione di toccare il sedere: quando è violenza

sessuale? Per stabilirlo in modo valido secondo la legge si tratta di esaminare parecchie cose: la volontarietà del gesto, la durata di permanenza della “mano lesta”, i motivi che hanno indotto a

compiere l’azione ed anche il modo in cui essa è stata percepita e rilevata dalla persona che ha subito il gesto.

Le risposte – a volte contrastanti – arrivano quasi sempre dalla Corte di Cassazione, dove approdano numerosissimi casi del genere. Ora, c’è una una nuova sentenza [1 -Cass. sent. n. 3230/21 del 27 gennaio 2021. ] , che ha esaminato il caso

di un uomo colpevole di aver toccato consapevolmente e volontariamente i glutei di una donna sconosciuta, mentre viaggiava su un treno.

Indice:

1 Il palpeggiamento dei glutei (natiche)

2 La pacca sul sedere: quando è violenza sessuale

3 Lo sfioramento veloce: violenza consumata o tentativo?

4 Il toccamento accidentale e non voluto

Il palpeggiamento dei glutei (natiche)

La pronuncia della Suprema Corte si è occupata di un imputato condannato in Corte d’Appello

«per aver costretto una donna sconosciuta incontrata sul treno a subire palpeggiamento ai glutei».

La vittima aveva individuato l’autore della violenza solo successivamente, riconoscendo l’uomo

che nel frattempo era stato fermato dagli agenti della polizia ferroviaria alla stazione.

In realtà, gli Ermellini in questa sentenza danno per assodato che il palpeggiamento costituisca

reato di violenza sessuale e non approfondiscono la vicenda esplorata dai giudici di merito, perché

il ricorso era fondato su aspetti diversi: precisamente, l’imputato contestava le modalità del suo

riconoscimento e l’utilizzabilità delle annotazioni di polizia giudiziaria scritte dagli agenti e

veicolate nel processo.

La pacca sul sedere: quando è violenza sessuale.

Il palpeggiamento implica un contatto protratto ed insistente; la pacca sul sedere invece è un

colpo istantaneo. Per capire se e quando la pacca sul sedere è reato di violenza sessuale bisogna

esaminare la norma incriminatrice [2] – che parla, in termini generali, di «costrizione» ma anche di

«inganno» e soprattutto le altre pronunce della giurisprudenza che si è espressa in maniera

concreta sul punto.

Toccare il sedere per scherzo a una donna è violenza sessuale. Lo ha affermato a chiare lettere una

famosa sentenza della Cassazione [3] e le conclusioni non mutano: l’orientamento delle sentenze

successive non è affatto cambiato.

Il ragionamento dei giudici è questo: i toccamenti lascivi, compresi quelli fatti “a mano morta“,

assumono rilievo penale specialmente quando riguardano parti intime e zone erogene [4] e non

conta il fatto che la vittima sia vestita anziché spogliata e nuda.

In un’occasione – rimasta però isolata – i giudici di piazza Cavour [5] hanno affermato che la pacca

sul sedere non è reato quando la mano non rimane appoggiata sui glutei «per un apprezzabile

lasso di tempo»; in tal caso, lo sfioramento istantaneo può considerarsi accidentale e, nel dubbio,

si assolve.

Rimane però fermo il principio che la violenza sessuale è tale quando è idonea a compromettere la

libera determinazione della vittima, invadendone la sfera sessuale non solo con atti di costrizione

ma anche semplicemente con «movimenti insidiosi e rapidi che riguardino zone erogene su

persona non consenziente» [6].

Lo sfioramento veloce: violenza consumata o tentativo?

Di recente, la Corte di Cassazione [7] ha confermato la condanna di un uomo che aveva messo le

mani sotto la maglietta di un ragazzo minorenne, toccandogli la schiena e scendendo in direzione

degli slip. Si trattava perciò di un contatto prolungato, molto invasivo ed intenzionalmente

compiuto.

Ma basta anche un «contatto corporeo superficiale o fugace» a rendere configurabile almeno il

tentativo di violenza sessuale, che non si completa per la reazione della vittima o altre cause che

non dipendono dalla volontà del soggetto agente.

Perciò, è sufficiente, come abbiamo visto a proposito della pacca, anche solo uno schiaffo sulle

natiche per configurare una violenza sessuale consumata e non solo tentata. Nella maggior parte

dei casi, non ha nessuna rilevanza il fatto che il contatto fisico sia durato solo un attimo. Infatti,

compiendo ciò, si realizza comunque un’indebita «intrusione nella sfera sessuale della vittima» [8].

Analogamente, i giudici hanno ritenuto che lo strusciamento sull’autobus è violenza sessuale.

Per la Suprema Corte [9] non conta «che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia

riuscita a sottrarsi all’azione dell’aggressore o che quest’ultimo consegua la soddisfazione erotica»,

come ha affermato in un caso di un bacio non riuscito ad una ragazza, che era stato compiuto

mentre l’uomo contemporaneamente cercava di toccare le sue parti intime.

Il toccamento accidentale e non voluto

Abbiamo visto, tra le altre cose, che come gesto in sé la pacca sul sedere è violenza sessuale. Però,

in questi casi, come per tutte le ipotesi simili che abbiamo esaminato, è sempre necessario che vi

sia il dolo: l’azione, cioè, deve essere consapevole e volontaria.

Per integrare il reato non è invece sufficiente la colpa, che può verificarsi, ad esempio, per una

spinta della folla per strada o su un mezzo di trasporto pubblico come un autobus, un tram, una

metropolitana o un treno, dove le persone molto spesso viaggiano inevitabilmente accalcate.

In tali situazioni, però, ricostruire i fatti realmente accaduti non è semplice; tutto dipende dalle

fonti di prova, a partire dalla testimonianza della vittima che nel processo descriverà il modo con

cui ha percepito l’azione compiuta nei suoi confronti e riferirà la dinamica con cui si è svolta.

Le intenzioni del molestatore non hanno invece nessuna importanza: per la legge penale è

indifferente che la pacca o il toccamento siano avvenuti anche solo per scherzo. Quello che conta,

come abbiamo visto, è l’intenzionalità dell’azione materiale che è stata compiuta, senza che sia

necessario accertare quale sia stata la finalità ulteriore.

Nella sentenza da cui siamo partiti [1], la ricostruzione del fatto era stata contestata dall’imputato,

che viaggiava mescolato tra gli altri passeggeri del treno, perché era contenuta in un’annotazione

della polizia ferroviaria che aveva appreso il fatto dal racconto della donna scesa in stazione.

Perciò, non vi era prova che il palpeggiatore fosse davvero lui.

Ma la Suprema Corte ha rilevato che l’atto era stato acquisito al fascicolo del dibattimento, con

l’accordo delle parti, al termine dell’udienza preliminare, al di là del fatto che tale circostanza non

fosse stata riportata nel verbale d’udienza. Per questo motivo, gli agenti operanti non erano stati

escussi. È bastata, quindi, la testimonianza della persona offesa – che aveva «con certezza»

riconosciuto l’autore della violenza sessuale nella persona fermata dalla polizia – a far condannare

l’imputato.

Note:

[1] Cass. sent. n. 3230/21 del 27 gennaio 2021.

[2] Art. 609 bis Cod. Pen.

[3] Cass. sent. n. 46218 del 12 ottobre 2018.

[4] Cass. sent. n. 4674 del 22 ottobre 2014.

[5] Cass. sent. n. 35473/2016 del 26 agosto 2016.

[6] Cass. sent. n. 46218 del 12 ottobre 2018 e sent. n. 42871 del 26 settembre 2013.

[7] Cass. sent. n. 2246 del 20 gennaio 2021.

[8] Cass. sent. n. 28505 del 22 maggio 2003.

[9] Cass. sent. n. 17414 del 18 febbraio 2016.

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