Come fare per sapere se il figlio è davvero mio.
Prova principe è quella del Dna: l’esame può essere richiesto privatamente o nell’ambito del giudizio.
Molti uomini possono aver vissuto il dubbio di essere l’effettivo padre biologico di un figlio. E ciò per le più svariate ragioni (la scoperta di un tradimento, un esame del sangue del figlio, ecc.) anche a distanza di tempo dalla relazione all’interno della quale sarebbe stato concepito.
In questi casi la cosa più opportuna da fare è quella di richiedere il cosiddetto test di paternità.
In cosa consiste il test di paternità.
Si tratta di un test tramite il quale viene prelevato un campione di cellule dal figlio, dal presunto padre e (se possibile) anche dalla madre. Esso permette di dare conferma o, al contrario, di escludere la compatibilità biologica tra il codice genetico del padre presunto e quello del figlio.
Ciò avviene in quanto vengono effettuati in laboratorio il confronto e l’analisi dei DNA (ossia il codice genetico che caratterizza ciascun individuo e che si eredita per l’esatta metà da entrambi i genitori) dei soggetti interessati.
Il test può essere eseguito non solo attraverso l’esame del sangue, ma anche attraverso l’utilizzo di altro materiale biologico come, ad esempio, le urine, la saliva, le unghie, i capelli. Si tratta, in ogni caso, di un esame indolore. Il prelievo di un campione può essere effettuato anche con autopsia (cioè su un cadavere), purché prima della sua cremazione.
Affidabilità dei risultati e costi.
Le tecniche di esecuzione di questo esame hanno raggiunto, nel corso del tempo, un livello qualitativo molto elevato [1], tanto da permettere l’effettuazione del test in tempi rapidi (pochi giorni) e con risultati prossimi alla certezza (99,99 per cento).
I costi sono variabili e si aggirano tra i 200 ed i 600 euro.
Chi può richiedere il test.
Il test può essere richiesto dal presunto genitore, da tutti e due o anche dal figlio maggiorenne.
Tuttavia, il padre che richiede il test all’insaputa della madre del bambino, non potrà poi utilizzarne il risultato in giudizio.
La richiesta del test può essere fatta, quindi, in anonimato o in via ufficiale, ma solo in tale secondo caso il test potrà essere prodotto in tribunale.
Perciò, se una persona cerca solo rassicurazioni circa il fatto di essere o meno il padre naturale di un bambino, sarà sufficiente fornire al laboratorio i campioni biologici richiesti (del presunto padre, del figlio e preferibilmente della madre) e attendere il risultato. Si può richiedere il test di paternità anche a centri specializzati che lavorano tramite internet. In tal caso verrà inviato a mezzo posta un apposito kit per il l’autonomo prelievo dei campioni. Il referto si riceve in pochi giorni e in totale riservatezza.
Ci sono, invece, delle procedure legali più complesse da seguire per identificare i campioni al momento del prelievo qualora i risultati debbano essere utilizzati in giudizio (si pensi, ad esempio, al fatto che si venga citati in giudizio per il riconoscimento e il mantenimento di un figlio); in tal caso i campioni devono essere analizzati da un laboratorio accreditato.
Si tratta, in ogni caso, di un esame di estrema delicatezza i cui esiti potrebbero, com’è facile immaginare, essere destabilizzanti per tutti i soggetti coinvolti. Il consiglio rimane, pertanto quello di affidarsi, in ogni caso, a strutture e professionisti qualificati nel settore.
Come ottenere l’accertamento giudiziale della paternità/maternità
Se manca la collaborazione dell’altra parte, volendo promuovere un’azione giudiziaria finalizzata ad ottenere una sentenza che dichiari la paternità o maternità naturale, occorrerà rivolgersi, tramite un legale, al Tribunale ordinario del luogo di residenza del presunto genitore e promuovere una specifica azione nei confronti di quest’ultimo o (in caso di morte) dei suoi eredi
Tale azione, se fatta nell’interesse di un minore, può essere iniziata dal genitore che ne ha la responsabilità o (in mancanza) dal tutore, mentre; se fatta dal tutore nell’interesse di un interdetto, l’azione necessita dell’autorizzazione del giudice [2]. Se il figlio ha compiuto i quattordici anni, occorre il consenso di quest’ultimo per iniziare o proseguire il procedimento. Se il presunto figlio muore, l’azione può essere avanzata dai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti, entro due anni dalla morte. Per il figlio, invece, l’azione non ha termini di prescrizione [3].
Come provare in giudizio la filiazione
Nell’ambito del procedimento, la prova della paternità o maternità di un figlio può essere data con ogni mezzo [4]. Si pensi, a riguardo, a circostanze quali le dichiarazioni dello stesso genitore che ha riconosciuto per primo il figlio (di solito la madre) o di terzi circa la relazione tra le parti all’epoca del concepimento. Si tratta, tuttavia, di elementi non sono considerati dalla legge prova certa del rapporto genitoriale.
Questo non può dirsi, invece, in caso di ricorso ad esami ematologici, in particolare quello del Dna, in grado di fornire un risultato più che attendibile. A riguardo la Cassazione [5] ha affermato che questo tipo di esame rappresenta un mezzo di prova oggettivo, che può essere richiesto in qualsiasi circostanza [6], a prescindere dalla prova di una gravidanza tenuta nascosta o di un tradimento.
Chi può chiedere il test in giudizio
Nel procedimento per l’accertamento della paternità/maternità, il test può essere richiesto in giudizio da ciascuna delle parti coinvolte, oppure essere disposto direttamente dal giudice. In tal caso, viene nominato un consulente tecnico di ufficio (CTU), col compito di effettuare il test e le parti interessate avranno facoltà di nominare un loro consulente di parte.
Ma cosa accade se ci si rifiuta di fare il test?
Non esiste un obbligo di legge per il quale ci si debba sottoporre ad esami invasivi quali quelli ematologici.
Nel nostro Paese, infatti, il giudice può ordinare che sia svolto il test del DNA ai soli fini della responsabilità penale [7], ma non ancora al fine di accertare la paternità.
Perciò, il giudice può disporre, anche d’ufficio (cioè anche se non richiesto dall’interessato), il relativo test, ma l’interessato può rifiutare di prestare il proprio consenso.
In tal caso, il giudice potrà valutare come prova, unitamente ad altri elementi raccolti, il rifiuto del presunto genitore di sottoporsi all’esame [8]. La legge, infatti, vuole tutelare in primo luogo il figlio e il suo diritto di conoscere le proprie origini, nonché quello di ricevere la necessaria assistenza (anche di natura economica) da parte di entrambi genitori. Pertanto, anche il rifiuto del presunto genitore di sottoporsi agli esami ematologici può contribuire a formare la convinzione del giudice, se considerata unitamente ad ogni altra dichiarazione (ad esempio quella materna [9]).
In sostanza, perciò, anche qualora non si possa procedere agli opportuni esami ematologici al fine di accertare la veridicità della genitorialità naturale, il tribunale potrà ugualmente giungere a dichiarare la paternità/maternità mediante la valutazione di una serie di indizi tra loro concordanti, dando così per provato il rapporto di filiazione.
Accertamento anche dopo la morte
Quanto detto vale anche nel caso di morte del presunto genitore. In tale ipotesi, è possibile sottoporre anche gli stretti consanguinei ai predetti esami e, in caso di loro rifiuto, tale atteggiamento potrà essere valutato dal giudice in modo favorevole alla paternità del defunto.
Anche in mancanza di consanguinei, il giudice potrà comunque arrivare a provare la paternità naturale dall’analisi di altre circostanze, come il fatto che il figlio sia sempre stato trattato come tale dal presunto genitore o il fatto che la filiazione fosse nota ai più [10].
Effetti della dichiarazione giudiziale
La sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli stessi effetti del riconoscimento volontario.
In capo ai genitori sorgono gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione secondo le naturali inclinazioni ed aspirazioni del figlio [10]. Gli obblighi decorrono dal momento della nascita del figlio e non da quello della domanda giudiziale o del riconoscimento.
Ciò significa che colui il quale per primo ha riconosciuto e cresciuto il figlio potrà – a seguito all’atto di riconoscimento da parte dell’altro genitore o della sentenza di accertamento giudiziale – agire nei confronti dell’altro genitore per ottenere da quest’ultimo il rimborso della quota relativa alle spese sostenute per il figlio [11].
Note:
[1] Negli anni ’80 si è scoperta l’esistenza di un tratto del Dna (cosiddetto Fingerprint), che ci rende unici. A questo si è poi aggiunta una tecnica rivoluzionaria (cosiddetta PCR -Polymerase Chain Reaction) che permette di amplificare in misura esponenziale in vitro una sequenza di acido nucleico.
[2] Art. 273 cod. civ.
[3] A seguito di una pronuncia della Corte Costituzionale (C. Cost. n. 50 del 10.2.06), il procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità è stato fortemente semplificato: prima, infatti, l’interessato doveva richiedere un giudizio preventivo nel quale, con indagine segreta, il Tribunale valutava l’esistenza di indizi che giustificassero la fondatezza o meno della domanda (si pensi a prove testimoniali circa la relazione tra l’uomo e la donna). Ciò naturalmente finiva con allungare di molti i tempi (e perciò anche i costi) per ottenere una pronuncia sulla paternità o maternità naturale. Oggi tale giudizio non è più necessario.
[4] Art. 269 cod. civ.
[5]Cass. sent. n. 14462/08.
[6]C. Cost., sent. n. 266 del 6.07.06 e Cass., sent. n. 15088/08.
[7] L. 85/2009.
[8] Cass. sent. n. 20235/12.
[9] Cass. sent. n. 1733/08.
[10] Art. 315 bis e 316 bis cod. civ.
[11] Cfr. Cass. sent. 5652/12; Trib. Roma, sent. 27.10.11.